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Quesito

Caro Padre Angelo
una domanda di patrologia e storia della Chiesa insieme.
Come erano vissuti i sacramenti dell’iniziazione cristiana nei primi cinque secoli della Chiesa e come li ha espressi la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
Quali gli aspetti in comune, quali ancora le divergenze?
La ringrazio per la risposta, la seguo nelle preghiere.
Dio la Benedica,
Matteo


Risposta del sacerdote

Capo I   Il Battesimo nei primi secoli e oggi

1. La rinuncia a Satana, l’unzione e la professione di fede
Il rito comportava come prima cosa la rinuncia al demonio. San Basilio dice che l’usanza di questa rinuncia precedente il battesimo risale ai tempi apostolici. Essa si faceva, sia sotto forma di una rinuncia unica, pronunciata da colui che stava per essere battezzato: «Io rinuncio a Satana, alle sue opere, alle sue vanità ecc. sia sotto forma di domande e risposte.
Dopo questa cerimonia della rinuncia, seguiva quella dell’unzione. Il cate-cumeno veniva unto con l’olio esorcizzato (olio dei catecumeni). In Oriente, l’unzione la si fece dapprima soltanto sulla testa, e più tardi fra le scapole e sul petto. Il significato era assai chiaro: si riferiva infatti all’unzione praticata agli atleti prima del combattimento.
Da ultimo si compiva la grande professione di fede, detta anche redditio symboli. Anche qui, ordinariamente si procedeva con domande e risposte, tra il sacerdote (o il vescovo) ed il battezzando.

2. Poi si procedeva alla benedizione dell’acqua
La benedizione dell’acqua è molto antica. Ne parla già Tertulliano, scrittore ecclesiastico che muore all’inizio del terso secolo. Questa benedizione attuava un esorcismo sull’acqua, destinato ad eliminare l’influenza del demonio. Nell’opinione degli antichi le sorgenti e le acque era particolarmente esposte ad influssi diabolici.
Tertulliano pensa che quando l’acqua viene benedetta un angelo scenda a purificarla, come scendeva nella piscina di Betzaetà (Gv 5,2) e conferiva alle acque la virtù di sanare.
Il rito della benedizione non è sempre stato lo stesso. Ma in genere si procedeva per insufflazione, rito che significava la discesa dello Spirito buono e l’allontanamento di quello cattivo.
In Oriente si dà meno importanza all’esorcismo sull’acqua, perché si riteneva che le acque fossero già santificate dal Battesimo di Gesù nel Giordano.
Nei primi secoli i riti della benedizione del fonte erano assai semplici: alcune preghiere, l’invocazione dei nome di Dio, di Gesù Cristo, della Trinità, alcuni segni di croce per attirare su quell’acqua le grazie divine. Le Costituzioni apostoliche (V sec.) recano il testo della bella preghiera che accompagnava questa benedizione:
“Guarda, o Signore, dal cielo, e santifica quest’acqua, dona ad essa una grazia tale e una tal virtù, sicché quanti vi sono immersi, come è stato prescritto da Cristo, siano crocefissi, muoiano, siano sepolti e con lui risorgano all’adozione, ch’egli ha loro meritata, facendoli morire al peccato, e vivere a giustizia”.

3. Il battesimo propriamente detto
Quando era tutto pronto, coloro che attendevano la rigenerazione battesimale potevano avvicinarsi e calarsi nelle acque santificatrici. Essi si svestivano dei loro abiti, gli uomini da una parte, sotto la direzione di uno dei membri del clero, le donne separatamente aiutate da altre donne o dalle diaconesse.
Il modo abituale e normale di conferire il battesimo durante i primi secoli era infatti l’immersione, unica o ripetuta tre volte. Il catecumeno, accompagnato dal padrino, se era un uomo, o dalla madrina, se era una donna, veniva interamente immerso nella piscina battesimale o per lo meno vi scendeva immergendo almeno i piedi quasi fino ai ginocchi, e il sacerdote, prendendo dell’acqua dalla stessa vasca, la versava sulla sua testa, e la faceva scendere su tutto il corpo, recitando la formula indicata da Nostro Signore, quando aveva detto di battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Sappiamo dagli Atti degli Apostoli che inizialmente si battezzava anche solo “nel nome di Gesù” (At 2,38; 8,16).
Inizialmente si battezzava in genere per immersione. Del funzionario di Candace si legge che discese con Filippo “nell’acqua” e che “uscì dall’acqua” (At 8,38ss).
Nell’immersione e nell’emersione dall’acqua si vedeva il simbolo della morte e della risurrezione di Cristo.
Tuttavia uno scritto della fine del primo secolo, la Didaké, richiede che l’acqua sia versata tre volte sulla testa.
E dice anche che se c’è poca acqua, è sufficiente la triplice infusione.
L’infusione dell’acqua veniva accompagnata dalle parole, si battezzava dunque nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

4. I riti postbattesimali
All’uscita dal fonte battesimale, i padrini o le madrine accoglievano i loro figliocci e presentavano dei panni per coprire il corpo ed asciugarsi. Subito dopo venivano condotti dal vescovo, il quale faceva loro un’unzione con il sacro crisma. Quest’unzione apparteneva ancora al rito battesimale, oppure con esso si amministrava la confermazione? Ritorneremo su questo argomento più avanti, quando parleremo della Cresima.
I neo-battezzati venivano rivestiti di bianco in segno di gioia e come simbolo dell’innocenza, che il sacramento aveva loro dato, e dovevano portare questi vestiti candidi durante tutta l’ottava di Pasqua, precisamente fino alla domenica in bianco, dominica in albis (depositis), che chiude la grande settimana pasquale.
Era pure usanza antica, tanto in Oriente come in Occidente, di mettere in mano al neofita un cero acceso, simbolo della luce divina che rischiara la sua anima.
Quindi, al canto delle litanie e processionalmente, i neo-battezzati entravano in chiesa con il clero. Era già l’aurora della festa di Pasqua. Per la prima volta essi partecipavano alla liturgia eucaristica sino alla fine e si comunicavano, completando in tal modo la loro unione a Cristo e alla sua Chiesa. Ai fanciulli ci si accontentava di dar loro un pò del Sangue.
Infine, in Occidente s’usava dare ai nuovi cristiani, dopo la comunione, un pò di latte e di miele, per far loro comprendere che i sacramenti della iniziazione cristiana li avevano introdotti nella vera terra promessa. Già Tertulliano nel II secolo fa allusione a quest’usanza, e l’introito della messa della domenica dopo l’ottava di Pasqua la ricorda: Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale
Durante tutta la settimana dopo Pasqua, la Chiesa vegliava particolarmente sui suoi neofiti, al fine di sviluppare in essi la pietà, e portare a compimento la loro istruzione. Ogni giorno si radunavano per ascoltare la catechesi, con la quale venivano spiegati più compiutamente i sacramenti che avevano ricevuto, e così pure i misteri di cui non si poteva parlare che ai fedeli; ed è per questo che i greci le chiamavano catechesi mistagogiche. Le più celebri sono le cinque che ci ha lasciate Cirillo di Gerusalemme.

5. Il tempo del battesimo
Nei primi secoli della Chiesa il tempo in cui si celebrava il Battesimo era la festa di Pasqua. A questo vento ci si preparava per tutta la quaresima.
Un altro tempo normale, per conferire il battesimo, era la festa di Pentecoste.
Veniva celebrato di notte, nel corso delle lunghe vigilie di queste feste, ed i neofiti assistevano poi all’azione liturgica insieme con gli altri fedeli.
Era considerato un abuso conferire il Battesimo in altri tempi, salvo che si trattasse di casi eccezionali e di necessità (grave malattia, persecuzione, pericolo di incursione di nemici).
Papa Siricio pare facesse eccezione anche per i bambini e che permettesse di battezzarli quando venivano presentati dai genitori, assimilandoli a coloro che erano in pericolo di morte.
San Leone Papa insiste perchè non si battezzi che nelle feste di Pasqua e di Pentecoste. Tuttavia poco per volta si diffonde l’usanza di dare il Battesimo in altre festività, specie all’Epifania, in memoria del Battesimo di Nostro Signore, a Natale, ed anche alla festa di San Giovanni Battista.
 Clodoveo fu battezzato nella festa di Natale. A poco a poco furono queste usanze prevalsero e si estesero, fino a conferire il Battesimo in qualunque festa ed anche nei giorni feriali.

6. Il luogo del battesimo
Al principio e nei primissimi secoli si può dire che il battesimo veniva conferito ovunque capitasse. L’esempio di Filippo, che battezza il funzionario della regina Candace, e numerose ragioni di forza maggiore, a cominciare dalle persecuzioni, autorizzavano tale libertà.
Con la pace costantiniana la Chiesa incominciò si visibilizza anche attraverso le costruzioni di edifici sacri si introdussero nuove usanze.
Molti, per devozione, desideravano farsi battezzare nel Giordano; tale è il caso dell’imperatore Costantino.
Tuttavia, come regola, il battesimo veniva amministrato nell’interno delle chiese o meglio nei battisteri.
Il battistero era un edificio speciale, di forma circolare od ottagonale, generalmente distinto dalla basilica, da cui dipendeva. Spesso era dedicato a San Giovanni Battista. II battistero consisteva soprattutto in una piscina situata al centro dell’edificio. Alcuni gradini permettevano di discendervi.
A volte il battistero si trovava nella chiesa stessa, vicino alla porta d’entrata, e il fonte, invece di essere una piscina, consisteva in una o in diverse bacinelle, da cui si attingeva l’acqua per spanderla sul capo del catecumeno. Questa disposizione poco a poco prevalse, ed ancor oggi si riscontra nella maggior parte delle chiese.

7. I padrini.
I padrini erano coloro che presentavano i catecumeni al battesimo e li accoglievano all’uscita dalla piscina battesimale. Venivano chiamati, secondo queste diverse loro funzioni, patrini o susceptores, od anche sponsores, perchè dovevano rendersi garanti dei loro figliocci.
Quest’usanza si trova sia in Oriente che in Occidente, fin dai primi secoli. Allorché in seguito s’affermò l’abitudine di battezzare i bambini, la Chiesa ci tenne ancor più che avessero dei padrini, per assicurare la loro educazione cristiana.
 Per quanto riguarda il nome gli adulti conservavano il loro.

Come si vede, il nostro battesimo è intriso di riti liturgici compiuti fin dall’inizio.
Possiamo notare, rispetto al battesimo attuale, un’insistenza maggiore sulle azioni di esorcismo.

Capo II   La Confermazione o Cresima nella Chiesa primitiva e oggi

 

1. Istituzione e pratica primitiva
I Vangeli e gli Atti degli Apostoli chiaramente e con insistenza ricordano la promessa dello Spirito Santo fatta da Cristo ai suoi discepoli per portare a pienezza la loro vita nuova.
Due eventi narrati negli Atti ci fanno comprendere come fin dall’inizio la confermazione sia stata considerata un sacramento distinto dal Battesimo, sebbene complementare.
In Atti 8,4ss si legge che gli Pietro e Giovanni furono inviati in Samaria ad imporre le mani a coloro che erano stati battezzati dal diacono Filippo.
Una ventina d’anni più tardi (At 19,1ss), S. Paolo passando da Efeso, trova dei discepoli di Cristo, precedentemente evangelizzati da Apollo, i quali però hanno solo ricevuto il battesimo di Giovanni Battista. Egli li battezza secondo il modo insegnato dal Signore e subito dopo conferisce lo Spirito Santo imponendo le mani su di loro.

2. Tre segni costituiscono il sacramento della Confermazione.
I documenti antichi (III-IV secolo) attestano che dopo il rito battesimale veniva compiuta una duplice unzione.
La prima veniva fatta dal sacerdote che aveva battezzato. Egli però evitava di ungere sulla fronte.
La seconda unzione veniva fatta dal Vescovo sulla fronte in forma di croce, dopo che egli stesso aveva imposto le mani.
Tre dunque sono i segni con cui viene celebrato questo sacramento: l’unzione, l’imposizione delle mani e il segno in forma di croce sulla fronte.
Unzione e segno di croce sulla fronte veniva fatti congiuntamente: è il rito della consignatio.

3. Il ministro del sacramento
Quando era il vescovo ad amministrare il Battesimo, faceva lui stesso anche l’unzione.
In seguito quando il sacerdote cominciò a fare l’unzione post battesimale con il crisma, veniva sottinteso che il battezzato venisse condotto quanto prima dal vescovo, affinché questi gli imponesse le mani e gli facesse l’unzione sulla fronte.
Papa Innocenzo I richiamò formalmente la regola in una lettera al vescovo Decenzio (416): «I bambini, egli dice, non debbono essere confermati da nessun altro, tranne che dal vescovo». E poggia la sua decisione sulla tradizione della Chiesa e sui fatti riferiti negli Atti degli Apostoli. E soggiunge: “I sacerdoti, quando battezzano, sia in presenza del vescovo, sia in sua assenza, possono ungere con il crisma il battezzato, purché detto crisma sia stato consacrato dal vescovo; essi, però, non devono segnare con quest’olio la fronte, poiché ciò è riservato ai soli vescovi quando danno lo Spirito Paraclito”.
Oggi tutti i sacerdoti in cura d’anime possono amministrare la Cresima quando i fedeli sono colpiti da grave malattia e si trovano in pericolo di vita.
Nella  Chiesa latina, in cui ministro ordinario della confermazione rimane il vescovo, un sacerdote può ricevere dal Vescovo il potere di amministrare la confermazione. Però il crisma deve sempre essere consacrato dal vescovo durante la messa del crisma il giovedì santo.

4. La materia e la forma
Gli Atti degli Apostoli non parlano di unzione. La materia era costituita dall’imposizione delle mani fatta dagli Apostoli.
Ugualmente non riferiscono nessuna formula (la forma), di cui si possano esser serviti San Pietro, San Giovanni o San Paolo, quando invocavano la discesa dello Spirito Santo con l’imposizione delle mani.
Il testo sacro dice solo che essi accompagnavano il gesto con una preghiera. Seguendo il loro esempio, i vescovi dei primi secoli aggiunsero all’unzione e all’imposizione delle mani una formula più o meno determinata.
Oggi il ministro deve servirsi del crisma, composto di olio d’oliva e di balsamo, consacrato dal vescovo.
Con questo crisma egli deve fare con la mano, e senza servirsi di alcun strumento un’unzione sulla fronte del cresimando, e, praticando quest’unzione, egli impone per ciò stesso la mano su colui che riceve il sacramento.
Inoltre, quest’unzione deve essere accompagnata da alcune parole che costituiscono la forma del sacramento. Esse sono le seguenti: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”.
Sono le parole in uso nella Chiesa greca fin dal IV secolo.
Prima della riforma voluta dal Concilio Vaticano II nella Chiesa latina le parole in uso erano le seguenti: Io ti segno con il segno della croce, ti confermo con il crisma della salvezza, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Prima della riforma del Vaticano II veniva dato anche un leggero schiaffo come il simbolo delle difficoltà, delle sofferenze e forse anche del martirio, cui andava incontro il cristiano nella sua vita. Ma questo rito non era molto antico.
Oggi il gesto compiuto dal vescovo, che materialmente è lo stesso che si faceva precedentemente, non viene inteso come leggero schiaffo, ma come un gesto di pace. Mentre lo compie, il Vescovo dice: la pace sia con te.
In altri tempi, sulla fronte segnata con il crisma veniva posta una benda bianca, che si doveva tenere per sette giorni. Più tardi si ridusse a tre giorni, poi ad uno. Oggi ci si accontenta di asciugare con un pannolino la fronte dopo unzione. Fino alla riforma voluta dal Vaticano II la fascia dalla fronte era passata al braccio. La fascia oggi è scomparsa.
Quando la cresima era collegata al Battesimo, il padrino dei Battesimo accompagnava naturalmente il figlioccio sino alla fine della cerimonia.
Anche oggi, come un tempo, la Chiesa prescrive che il cresimando abbia un padrino.
Questo padrino può essere lo stesso del battesimo, soprattutto se i due sacramenti fossero conferiti nella stessa celebrazione, come avviene per gli adulti.

Capo III   L’Eucaristia nella Chiesa primitiva e oggi

Non tratto di tutti riti della Messa, perché non si finirebbe più, ma solo di alcuni punti, i principali, che indubbiamente interessano.
Intanto devo ricordare che Gesù annunziò questo sacramento quando disse: “Il pane che io darò è la mia carne, per la salvezza del mondo… Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,52ss).
Poi, alcune ore prima della Passione, egli procedette all’istituzione propriamente detta, trasformando, in virtù delle sue parole, il pane ed il vino nel suo corpo e sangue, distribuendoli ai suoi apostoli e dicendo loro di ripetere in avvenire quel rito in sua memoria.

1. La materia dell’eucaristia e la sua oblazione nell’antica liturgia
Già anticamente la Messa consisteva in due parti (o mense): la liturgia della parola e quella del sacrificio.
Alla liturgia della parola potevano assistere anche i catecumeni, poi uscivano.
Quindi si iniziava la celebrazione del Santo sacrificio.
Il rito primitivo di questa parte della messa consisteva nell’offerta dei doni, che servivano al vescovo (o al sacerdote) per compiere il sacrificio e permettevano ai fedeli di parteciparvi: doni consistenti nel pane e nel vino. Mentre si cantava un salmo i fedeli si presentavano con la loro offerta. Prima venivano gli uomini, poi le donne e il vescovo riceveva queste oblazioni.
Il pane veniva raccolto su grandi piatti, detti patina, e posteriormente patena (la patena attuale ne è l’esatta riproduzione in piccolo), e poi su una bianca tovaglia tenuta dagli accoliti. Il vino veniva versato dentro uno o più calici, recati dai suddiaconi. Anche questi calici erano di grandi dimensioni ed avevano dei manici, che permettevano di portarli agevolmente e di distribuire più facilmente il prezioso sangue nel tempo in cui ci si comunicava sotto le due specie.
Terminata l’oblazione, il vescovo si lavava le mani e recatosi all’altare diceva una preghiera.

2. La trasformazione dell’offertorio
Queste offerte in natura furono in uso per lungo tempo, ma finirono con lo scomparire verso il secolo IX. I sacerdoti preferivano offrire sull’altare dei pani migliori di quelli recati da coloro che partecipavano alla messa, e lo stesso per il vino, che fino allora risultava prodotto con vari tipi di vino mescolati insieme.
Inoltre i fedeli avevano preso l’abitudine poco a poco di fare al clero dei doni, quale compenso per il servizio liturgico. Da allora parve superfluo raccogliere durante la messa il materiale necessario per il sacrificio e la comunione. Ma due tracce sono rimaste degli antichi riti: l’offerta del pane benedetto, che ha luogo proprio all’offertorio e la questua, che si fa a questo punto della messa.
La Chiesa resistette per diversi secoli a questa trasformazione della offerta liturgica. Ma fin dall’VIII secolo i cristiani incominciarono a consegnare al sacerdote, al momento dell’offertorio, delle elemosine in denaro in sostituzione del pane e del vino. Quest’usanza fu combattuta dalla Chiesa fino al XII secolo.
Oggi la Riforma liturgica ha ripristinato almeno per le messe più solenni il rito dell’offerta da parte dei fedeli.

3. La questione del pane azzimo
La maggior parte delle Chiese d’Oriente si serve del pane lievitato, mentre nella Chiesa latina è obbligatorio il pane azzimo. Notiamo intanto che sia l’una che l’altra Chiesa riconosce la validità della consacrazione.
Si tratta dunque solo di una questione disciplinare.

4. La consacrazione
La trasformazione (transustanziazione) del pane e del vino segue l’offertorio. Essa viene operata, come alla Cena, dalle stesse parole di Cristo: “Questo è il mio corpo”, “questo è il calice del mio sangue…”, che il sacerdote ripete in persona Christi.
Questo rito della consacrazione, e particolarmente le parole che lo compiono, costituisce, fra tutte le formule sacramentali, ciò che i cristiani dei primi secoli hanno circondato di maggior rispetto ed hanno tenuto più segreto, come del resto facevano per un certo numero di articoli di fede o di disciplina religiosa: o evitavano di parlarne, oppure lo facevano in termini velati e comprensibili solo agli iniziati.

5. Il rito della comunione
Fino al VII secolo all’incirca, tanto in Oriente che in Occidente, la comunione si distribuiva alla messa nel modo seguente: il celebrante, diceva ad alta voce: “Ai santi le cose sante” (Sancta sanctis). Si dava in questo modo l’avviso che dovevano accostarsi soltanto coloro che avevano la coscienza pura. La frazione del pane, operazione necessaria in vista della comunione, aveva luogo a questo punto. Quindi il vescovo si comunicava; dopo di lui i sacerdoti, i diaconi, i suddiaconi, i chierici. Poi le diaconesse, le vergini consacrate a Dio, i bambini e infine il popolo: prima gli uomini, poi le donne.
Esisteva così un certo ordine di precedenza.
A parte i sacerdoti, che si comunicavano da loro, tutti gli altri ricevevano il pane consacrato dalle mani del celebrante, il quale ad ognuno diceva questa semplice frase: “Il corpo di Cristo”. E il fedele rispondeva: “Amen”, manifestando così la sua fede nella presenza reale.
Subito dopo, il diacono gli accostava il calice dicendo: “Il sangue di Cristo, calice di vita”; e il fedele rispondeva: “Amen”, e beveva un poco del prezioso sangue.
Verso il VII-VIII secolo, la formula mutò per ridursi poco a poco a quella usata prima della riforma voluta dal Vaticano II: “Il corpo del Nostro Signor Gesù Cristo custodisca la tua anima per la vita eterna. Amen”. Questa formula è riferita quasi testualmente dal biografo di San Gregorio Magno.
Durante la distribuzione della comunione fu usanza generale, almeno a partire dal IV secolo, di cantare il salmo 38, Benedirò il Signore in ogni tempo, perfettamente intonato all’eucaristia, con il suo versetto che si ripeteva in forma d’antifona: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore”.
Molto a lungo si mantenne quest’uso, ma arrivò il giorno in cui si sentì il bisogno di variare i salmi della comunione. Poi come avvenne per l’introito e il salmo scomparve, e venne conservata soltanto la sua antifona, soprattutto perché venne a diminuire il numero delle comunioni.

6. Il luogo e l’atteggiamento della Comunione
Nella Chiesa di Roma, il celebrante (il vescovo) ed i sacerdoti si comunicavano allo stesso altare, gli altri chierici nel presbiterio, i fedeli fuori del presbitero, salvo i sovrani, che erano ammessi a comunicarsi, come anche a fare l’offerta, nello stesso presbitero. Ma nella Chiesa di Roma si seguiva pure un’altra usanza: i fedeli rimanevano al loro posto e il sacerdote e il diacono si recavano presso di loro per amministrare la comunione. Altrove, in Africa per esempio, si accostavano alla balaustra, che separava il presbitero dal resto della chiesa. In Francia si era meno riservati: i laici, uomini e donne, penetravano nel presbitero per comunicarsi.
La comunione si riceveva in piedi, come hanno continuato a fare i Greci, più fedeli, su questo punto, come in molti altri, all’antica disciplina. Questa posizione era considerata come quella del rispetto ed anche della gioia, posizione che si manteneva durante le preghiere alla domenica e nel tempo pasquale.
Successivamente nella Chiesa latina subentrò la prassi di riceverla in ginocchio in segno di adorazione
Oggi è lasciato alla libertà dei fedeli. Ma, tolte le balaustre, diventa disagevole ricevere la Santa Comunione in ginocchio. La Chiesa, quando si riceve la Comunione in piedi, chiede un segno di riverenza.
Gli uomini ricevevano l’ostia nella palma della mano destra, sostenuta dalla sinistra, postavi sotto e se la recavano essi stessi alla bocca. Così pure facevano le donne, ma esse avevano la mano coperta d’un pannolino detto dominicale, che esse portavano con sé a questo scopo. Così si fece tanto in Oriente che in Occidente durante i primi sei o sette secoli.
Essendosi introdotti degli abusi, si giunse alla pratica di deporre il pane consacrato direttamente in bocca.
Oggi la Chiesa dà la possibilità di riceverla direttamente in bocca oppure sulla mano, come nell’antico rito.

7. La comunione sotto le due specie
Applicando alla lettera il precetto di Nostro Signore, che aveva detto di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue, i fedeli dei primi secoli si comunicavano sotto le due specie. Dopo aver ricevuto l’ostia, si presentavano davanti al diacono, il quale presentava loro il calice, ed essi vi bevevano uno dopo l’altro.
Questa maniera, la più semplice, di bere il prezioso sangue, offriva evidentemente degli inconvenienti e soprattutto il pericolo di lasciar cadere qualche goccia.
Per evitare questo, in certi luoghi, per esempio a Roma, si succhiava il vino dal calice, servendosi di una cannuccia.
Venne pure usato un altro metodo: il sacerdote intingeva il pane nel calice e lo poneva così nella bocca del comunicando. Questo il rito rimasto in uso nella Chiesa d’oriente è passato dopo la riforma del Vaticano II anche in occidente.
Verso l’inizio del secolo XII andò gradualmente cessando in Occidente l’uso di comunicarsi sotto le due specie. Diversi motivi hanno suggerito questo nuovo cambiamento: la difficoltà di procurare il vino in sufficiente quantità in certi paesi e il pericolo di profanazione. A questi motivi pratici bisogna aggiungerne un altro: i fedeli avevano sempre più coscienza di ricevere pienamente Gesù Cristo, tanto sotto una sola, come sotto tutte e due le specie, avendo la Chiesa, anche nei secoli precedenti, ammesso in certi casi la comunione sotto una sola specie (comunione degli assenti, dei malati, dei bambini).
Per eliminare ogni incertezza al riguardo, il concilio di Costanza (1415) ordinò che i sacerdoti solamente si comunicassero sotto le due specie, e i laici sotto le specie del pane soltanto.

8. La comunione degli assenti e dei malati
L’uso ammesso per secoli, per cui i laici ricevevano il pane eucaristico nelle loro mani, non derivava solo dal desiderio di riprodurre ciò che Cristo aveva fatto con gli apostoli, ma anche dal fatto che ai fedeli fu permesso per molto tempo di portarsi a casa una frazione di pane consacrato e di comunicarsene nei giorni seguenti.
Tale usanza si giustificava in pieno nei tempi di persecuzione, o anche quando si abitava lontano da una città e non ci si poteva recare alla messa, che veniva celebrata solo nelle domeniche o nei giorni di festa.
Questo uso scomparve sempre più dopo le persecuzioni.
In seguito lo si trova solo nella storia dei monaci del deserto, i quali vivendo solitari e non riunendosi che raramente per la messa, conservavano nel loro eremitaggio il pane consacrato per la comunione.
Se era lecito portare con sé le sacre specie per la propria devozione privata, tanto più era permesso recarle agli altri, e in particolare agli ammalati. La comunione degli ammalati a domicilio fu sempre considerata come un caso normale.
Ma la Chiesa considerò un abuso che fossero i laici a portare l’eucaristia ai malati. Per molto tempo essa permise tale ministero agli accoliti (ricordiamo per esempio il caso del giovane Tarcisio) o meglio ancora ai diaconi. Finì però col riservarlo ai soli sacerdoti. Oggi invece lo concede a tutti i ministri straordinari, uomini o donne.
Quando la comunione veniva portata ad un malato, la si faceva d’ordinario sotto una sola specie, e per lo più sotto la specie del pane, essendo più agevole a trasportarsi. In certi casi, però, se il malato non poteva prendere alcun nutrimento solido, gli si portava solo il sangue prezioso.

9. L’età richiesta per la comunione
Essendo un sacramento dell’iniziazione cristiana, la santa comunione veniva fatta subito dopo aver ricevuto il battesimo e la cresima. La questione dell’età dunque non si poneva neppure, sia che si trattasse d’un adulto o anche solo d’un bimbo non ancora svezzato.
Quest’usanza si è conservata intatta nella Chiesa d’Oriente.
Nella liturgia dei primi secoli, quando i bambini erano troppo piccoli ed era rischioso o difficoltoso inghiottire una porzione dell’ostia, si dava loro la comunione sotto la sola specie del vino.
Anche in seguito i bambini continuavano a comunicarsi. In certi luoghi dopo che s’erano comunicati i fedeli, si facevano accostare alcuni fanciulli, e si dava loro quello che restava. Questa usanza si conservò in Francia sino al tempo di Carlomagno; ma scomparve in seguito, anzi, nel secolo XIII, in Francia, era vietato dare la comunione ai bambini sotto i sette anni.
Più tardi, in molti paesi, l’età per la prima comunione fu ancora ritardata fin verso i dodici anni, età in cui si presumeva che l’istruzione religiosa del fanciullo fosse completa.
Il decreto Quam singulari, sotto il pontificato di S. Pio X (1910), l’anticipò nuovamente all’età della ragione (verso i sei-sette anni).

10. La frequenza alla comunio