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Quesito

Caro Padre Angelo,
le vorrei porre alcune domande sul modo corretto di celebrare il sacramento della riconciliazione. Diverse volte mi è capitato di constatare come alcuni sacerdoti si lascino prendere da una certa creatività nel modo di celebrarlo e diverse volte questo comportamento mi ha procurato diversi scrupoli. Ad esempio, un sacerdote ha esordito così: "Dimmi prima le cose belle per cui vuoi ringraziare il Signore. I peccatacci dopo!" Ovviamente, sono rimasto un pò interdetto perchè questa domanda mi ha distolto dalla confessione dei miei peccati. Comunque, dopo aver detto ciò per cui volevo ringraziare Dio, il sacerdote mi ha fatto quasi una breve omelia e dopo avermi concesso non più di qualche decina di secondi per esporre i miei peccati mi ha bloccato così: "San Paolo ha detto che aveva il desiderio di fare il bene, ma constatava di fare il male che non voleva. Se l’ha detto lui? Non ci facciamo santi da noi stessi, e Dio che ci fa santi!" Gli ho detto: "Si ha ragione Padre, ma l’uomo non deve corrispondere all’amore di Dio? Non diceva S. Agostino forse che: ‘‘chi ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te?’" Ma ovviamente sono stato subito interrotto con un: "Lascia stare! Dio ci fà santi, non noi!" Con grande fretta, invece dell’atto di dolore mi ha detto: "Ripeti con me: Signore pietà, ecc…." e mi ha dato l’assoluzione senza penitenza. Inutile dire che anche altre volte, in mancanza di un confessore disponibile, mi sono ritrovato a dovermi confessare spesso da lui e le cose sono andate sempre così. Mi son detto: "Come può darmi dei consigli utili per il mio progresso spirituale se non mi lascia parlare ed esporre i miei peccati e le mie difficoltà?"
Spesso ho dovuto constatare che diversi sacerdoti non danno la penitenza e soprattutto impediscono al penitente di esporre la sua situazione di peccato. Una volta mi sono sentito dire anche questo: "Guarda che io non sono il tuo lavandaio. A me non interessano i tuoi peccati! La confessione è un grido di gioia e tu devi fare questa esperienza, in quanto Dio ti ha già perdonato prima che tu esponga i tuoi peccati." Quindi mi son detto: "Allora la confessione dei peccati è qualcosa di inutile? A che serve prepararsi con uno scrupoloso esame di coscienza se poi alla fine nessuno ti vuole ascoltare?" Non so caro Padre Angelo, ma questo modo di fare mi ha creato grandi tormenti e mi ha fatto diverse volte allontanare dal confessionale, che tra l’altro vedo che non è più molto usato, anzi si preferisce confessare seduti spalla a spalla sui banchi delle chiese, con tutti i rischi di essere ascoltati da chi magari si trova ad un metro da te, con buona pace del segreto sacramentale!
Forse sono io che sono troppo difficile oppure ho una concezione sbagliata del sacramento della riconciliazione? Mi affido ai suoi preziosi consigli e alle sue preghiere. Grazie per aver avuto la pazienza di ascoltarmi. Che Dio la benedica per tutto il bene che fa alle anime.
Walter


Risposta del sacerdote

Caro Walter,
sono dispiaciuto per quello che mi hai descritto, ma questa è la realtà nella quale viviamo.
Grazie a Dio, non dappertutto è così.
Vediamo però che cosa non va nell’atteggiamento del tuo confessore.

2. La cosa più grave è questa: che la materia del sacramento della Penitenza non è costituita dal rendimento di grazie per le opere buone compiute. Cristo non ha istituito il sacramento per questo.
Come sai, il Signore ha istituito il sacramento della Penitenza soprattutto con le parole pronunciate la sera del giorno della sua risurrezione: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,23).
Da queste parole ha Chiesa ha capito che materia del sacramento è l’accusa dei propri peccati, accompagnata da pentimento.
Il racconto delle opere buone qui è superfluo.

3. Per concedere qualcosa al tuo confessore, mettiamola anche così: desiderava conoscere lo stato generale della tua vita cristiana.
Ma un buon confessore capisce subito, anche dal modo in cui uno si confessa e da quello che confessa, qual è lo stato generale dell’anima.
Per cui è meglio fidarsi della Chiesa, che chiede l’accusa dei propri peccati, e non l’elenco delle opere buone.

4. Un’altra cosa che non va è l’omissione della penitenza sacramentale.
Che ne diresti se andando dal medico chirurgo, dopo aver tolto dall’organismo qualche male anche grave, ti dicesse: vada a casa, non ha bisogno di alcuna terapia o convalescenza.
Ma qui le cose sono più gravi, perché come ha ricordato Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia, “anche che dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. Tale è il significato dell’umile, ma sincera soddisfazione” (RP 31,III).
È necessario dunque portare rimedio in questo focolaio infettivo per evitare nuove cadute.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza»” (CCC 1460).

5. Il sacerdote ha l’obbligo di dare la penitenza, a meno che il penitente sia nell’impossibilità di compierla, oppure veda che ne ha già fatta tanta.
Se non dà la penitenza, lascia il sacramento mutilo.
E chi lo autorizza a compiere questo?
Il sacramento è una realtà sacra. Si deve essere fedeli nella sua celebrazione, così come si è promesso nel giorno della propria ordinazione sacerdotale.
I trattati classici di teologia morale dicono che l’obbligo di dare la penitenza è grave.

6. Sorvolo sulle altre questioni, dove mostri più saggezza tu del sacerdote. È vero che la santità è opera del Signore, ma richiede la collaborazione nostra.
A che serve dare consigli (forse anche lui te ne avrà dati) se  il cammino dipende solo dal Signore?
Ugualmente per il luogo della confessione: senza essere rigidi su questo punto, non credo però che sia bello confessare tra le panche, soprattutto se accanto vi sono altre persone.
Credo che una persona abbia diritto anche a una certa riservatezza. Qui si tratta dei problemi della propria anima! Anche il modo stesso di relazionarsi ha la sua importanza.

7. “La confessione è un grido di gioia”, ti è stato detto.
Ma se uno pensa a quello che ha fatto, che ha causato la morte del Signore, che ha rovinato la sua casa (la propria anima) e  ha portato danno alla Chiesa, non so che grido di gioia debba fare.
Certo, quando si esce dal confessione si è contenti per la riconciliazione ottenuta.
Ma in confessionale uno va a battersi il petto e a dire: Signore, usami misericordia, abbi pietà di me.
Un bravo confessore è quello che sa stimolare nel penitente un tale dolore da portarlo a non offendere più il Signore.
Penso al Santo Curato d’Ars che talvolta in confessionale piangeva. Alla domanda del penitente: “Padre, perché piange”, rispondeva: “Piango perché non piangete voi!”.

8. Mi dispiace fare queste osservazioni, perché vanno a toccare il ministero di alcuni confratelli nel sacerdozio.
Però non si può dire che tutto vada bene.
Preghiamo e facciamo anche qualcosa d’altro (penitenza!) per avere sacerdoti e pastori che siano del tutto secondo il cuore di Cristo. Solo così saranno di vero giovamento ai fedeli.

Ti assicuro il mio ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo