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Quesito

Caro Padre Angelo,
spero Lei stia vivendo con serenità l’inizio di questo mese dedicato a Maria.
Le scrivo per chiederLe qualche chiarimento in merito al grado di peccaminosità di un’azione in rapporto alla distinzione tra atto direttamente contrario alla carità e atto contrario alla carità nell’ordine dei mezzi.
Dopo aver analizzato la peccaminosità attribuita dalla Morale in alcuni tipi di peccati, mi è parso di cogliere che un peccato possa essere grave solo se contrario alla carità in modo diretto e non nell’ordine dei mezzi.
Infatti, prendendo ad esempio il caso della bugia, la quale a prescindere dai suoi effetti è sempre contraria al proprio fine (e quindi, a quanto ho capito, contraria alla carità nell’ordine dei mezzi), ho letto che essa viene considerata peccato mortale soltanto quando arreca un grave danno al prossimo, opponendosi così in modo diretto alla carità. Viene invece considerata soltanto veniale quando, pur rimanendo contraria al proprio fine, è solamente giocosa od officiosa e non dannosa.
Guardando altri esempi di peccato grave contro la carità nell’ordine dei mezzi, come quelli gravi di gola o quelli di lussuria, oltre all’alienazione dal fine naturale dell’atto, si riscontra anche una diretta violazione della carità (verso se stessi nella gola e verso gli altri nella lussuria).
La mia domanda è dunque questa: è corretto affermare che un peccato può essere mortale soltanto quando in modo diretto, e non nell’ordine dei mezzi, si oppone alla carità?
La ringrazio per la disponibilità ed auguro a Lei e ai Suoi confratelli un gioioso festeggiamento per l’incombente ricorrenza della Madonna del S. Rosario.
Matteo


Risposta del sacerdote

Caro Matteo,
1. sapendo che hai solo 18 anni mi compiaccio grandemente della tua attitudine per le questioni teologiche, che non sono semplicemente accademiche, ma vanno a toccare il fondo della nostra vita.
Una domanda fondamentale che tutti dovrebbero porsi è questa: che cosa è peccato mortale, che cosa non lo è?
Perché il peccato mortale è ciò che fa morire la vita di comunione intima con Dio, la vita di grazia.
Come suo esito finale, ha la morte eterna e cioè l’inferno.
Chiunque nel dover fare un viaggio si preoccupa di conoscere in maniera dettagliata la strada che deve percorrere per non finire da un’altra parte.

2. Sarebbe sufficiente fidarsi di quello che dice Dio per sapere che cosa è peccato grave e che cosa non lo è.
Ora Dio ha detto attraverso la Sacra Scrittura che alcuni peccati impediscono di entrare nel Regno di Dio. Questo equivale a dire che si tratta di peccati mortali.
Ecco, a titolo di esempio, due liste di peccati che escludono dal Regno di Dio: “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il suo Regno” (1 Cor 6,9-10). 
“Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatrie, stregoneria, inimicizie, discordie, gelosie, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come ho già detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Gal 5,19-21).

3. Ma poiché Dio ha dato all’uomo l’intelligenza, è giusto ed è anche doveroso domandarsi quale sia il motivo per cui certi peccati escludono dal Regno di Dio.
Ed è ciò che tu fai con la domanda che hai espresso.
Un grande maestro che ci aiuta a risolvere questo problema è San Tommaso d’Aquino.

4. Ecco che cosa dice: “Si dice mortale quel peccato che toglie la vita spirituale prodotta dalla caritàvirtù in forza della quale Dio abita in noi: perciò è mortale per il suo genere quel peccato che per se stesso, cioè per la sua natura, è incompatibile con la carità” (Somma teologica, II-II, 35, 3).
Ancora: “Essendo il peccato un’infermità dell’anima, un peccato si dice mortale per analogia con le malattie, le quali si dicono mortali quando producono danni irreparabili con la distruzione di un principio vitale.
Ora il principio della vita spirituale è l’ordine al fine ultimo: ordine questo che una volta distrutto non può essere riparato da un principio intrinseco, ma solo dalla virtù divina
Invece i disordini relativi ai mezzi, salvo l’ordine al fine ultimo, sono riparabili. E si dicono veniali” (Somma teologica, I-II, 88, 1).

5. Quanto hai detto dunque è in linea con il pensiero di San Tommaso.
Tuttavia la semplice affermazione “peccato grave è solo ciò che va direttamente contro la carità” potrebbe essere motivo di confusione e di errore.
Perché si può andare contro la carità non solo direttamente, ma anche indirettamente.
Infatti poiché la carità è in se stessa l’amicizia soprannaturale con Dio, e poiché gli amici hanno fra di loro un medesimo volere e disvolere, quando si compie qualcosa che è contrario alla volontà dell’amico, alterando o profanando ciò che egli ha compiuto con mirabile sapienza e amore, l’amicizia di fatto si incrina e si spezza.
Pertanto si può peccare gravemente anche andando indirettamente contro la carità.

6. Ma tornando alla distinzione fatta da San Tommaso e da te ripresa, la domanda che adesso si impone è la seguente: qual è il fine e quali sono i mezzi?
Guardando al decalogo possiamo dire che i primi tre precetti del decalogo riguardano direttamente Dio, che è il fine.
Per cui i peccati contro questi precetti sono sempre mortali.

7. Invece i restanti sette precetti del decalogo riguardano i mezzi. 
Ora alcuni mezzi sono di per sé stessi cattivi, come ad esempio uccidere, commettere atti impuri, dire falsa testimonianza, rubare…
Allora questi mezzi non potranno mai diventare buoni con la scusa che il fine è buono.
Vi può essere soggettivamente peccato veniale a motivo dell’imperfezione dell’atto.
Dice San Tommaso: “Si deve però notare per tutti i peccati che sono mortali nel loro genere che essi non sono mortali se non quando raggiungono la loro perfezione”. (II-II, 35, 3).
Per intenderci: non c’è peccato mortale se c’è soltanto il moto iniziale, ma poi subito ci si corregge.
Vi può essere peccato veniale anche a motivo della parvità di materia che vi può essere in questi precetti, fatta eccezione per il quinto per il sesto, nei quali c’è sempre materia grave.

8. Altri mezzi invece sono di per se stessi buoni, come gli affetti familiari, il provvedere alle proprie necessità con il cibo, con i vestiti, attendendo al proprio onore, al proprio buon nome…
Allora c’è peccato veniale quando ad esempio si mangia troppo o troppo poco, quando c’è eccessivo attaccamento al vestito oppure quando non si tiene il contegno dovuto rispetto al luogo sacro, alle persone, quando c’è disordinato attaccamento al proprio onore o al proprio buon nome.
Ecco, questo è l’ambito proprio del peccato veniale. Ci si porta su mezzi buoni. Ma ci può essere qualche disordine nel loro uso.

9. Dire semplicemente che il peccato mortale è quello commesso direttamente contro la carità potrebbe dare origine ad una confusione fatta già da alcuni teologi gesuiti alla fine del 1600 quando dissero che peccato mortale è solo quello che hai fatto direttamente contro Dio.
Che se viene fatto su materia grave, ma non viene direttamente commesso contro Dio, pur essendo grave non sarebbe mortale.
Quest’opinione fu condannata da Alessandro VIII il 24 agosto 1690 e fu giudicata “scandalosa, temeraria, piarum aurium offensiva et erronea” (scandalosa, temeraria, offensiva dei buoni sentimenti ed erronea).
I due gesuiti ritrattarono i loro errori.

10. Questo errore è stato nuovamente condannato da Giovanni Paolo II dal momento che a partire degli anni 60 del secolo scorso alcuni riproposero questo errore sotto altra terminologia.
Ci sarebbe peccato mortale solo quando si rimuove l’opzione fondamentale verso il bene, mentre ci sarebbe un peccato grave, ma non mortale quando pur peccando in materia grave non si rimuove l’opzione fondamentale.
Allora le fornicazioni, gli adulteri, i furti, che non vengono mai fatti direttamente contro Dio, anzi non ci si pensa neanche, non sarebbero mortali ma solo gravi.
Il che porta a dire che, se non sono mortali, sono ancora nel genere dei veniali, sebbene in maniera più forte o più grave.

11. Ecco che cosa disse Giovanni Paolo II nell’esortazione post sinodale Reconciliatio et poenitentia: “Durante l’assemblea sinodale è stata proposta da alcuni padri una distinzione tripartita fra i peccati, che sarebbero da classificare come venialigravi, e mortali. La tripartizione potrebbe mettere in luce il fatto che fra i peccati gravi esiste una gradazione. Ma resta sempre vero che la distinzione essenziale e decisiva è fra peccato che distrugge la carità e peccato che non uccide la vita soprannaturale: fra la vita e la morte non si dà via di mezzo…
Perciò, il peccato grave si identifica praticamente, nella dottrina e nell’azione pastorale della Chiesa, col peccato mortale (RP 17).

12. Per cui io aggiusterei la tua affermazione dicendo che c’è peccato grave quando si agisce direttamente o indirettamente contro la carità, compiendo ciò che oggettivamente è contrario alla volontà di Dio.
In questo modo evitiamo in partenza possibili equivoci.

Ti ringrazio anche per gli auguri in occasione della festa della Madonna del Santo Rosario, proclamata dal domenicano San Pio V, Regina delle vittorie.
È la patrona del nostro Ordine.
Con l’augurio che anche tu possa riportare una vittoria dietro l’altra con l’arma stupenda e particolarmente potente del Santo Rosario, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo