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Quesito

Caro Padre Angelo,
Ho 30 anni e vivo a M.
Sento il bisogno per la mia vita di un punto di riferimento stabile, chiaro ed eterno. 
Mi sorgono due domande: da cosa è composto il Magistero ufficiale della Chiesa cattolica? La dottrina cattolica è in toto immutabile o in alcune parti può essere cambiata?
La ringrazio per la sua grande ed essenziale opera di carità nella verità.
Francesco


Risposta del sacerdote

Caro Francesco,
innanzitutto ti chiedo scusa per il grave ritardo con cui ti rispondo.

1. Per magistero si intende l’insegnamento in materia di fede e di morale che Cristo ha affidato alla Chiesa, e più specificamente ai suoi pastori, con a capo Pietro.
A questo insegnamento Gesù ha garantito la sua assistenza in modo tale che l’insegnamento della Chiesa sia la regola della nostra fede.

2. Gesù Cristo ha affidato a Pietro il compito di insegnare quando gli ha detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,18-19).
 E: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31-32).
Infine Gesù ha consegnato a Pietro il potere che gli aveva promesso (aveva detto infatti: a te darò, al futuro) quando dopo la sua risurrezione gli dirà: “Pasci i miei agnelli (Gv 21,15)” e “Pasci le mie pecore” (Gv 21,16 e 21,17).

3. Questo potere di insegnare Gesù l’ha esteso poi agli Apostoli dicendo: “In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt 18,18).
Evidentemente questo potere lo dà al collegio degli Apostoli senza togliere a Pietro quello che precedentemente gli aveva garantito.
Per questo i vescovi insegnano in maniera autentica e garantita dall’alto quando insegnano con Pietro e sotto la sua autorità (cum Petro et sub Petro).

4. Per Chiesa si intende l’insieme, l’assemblea dei fedeli.
Le porte degli inferi non prevarranno: le porte dell’inferno significano le potestà diaboliche. Alla Chiesa fondata su Cefa, che significa pietra, macigno, rupe, le potestà infernali muoveranno continua guerra ma non riusciranno a riportare vittoria perché Cristo l’ha promesso. Di qui si deduce l’infallibilità nell’insegnamento e l’indefettibilità della Chiesa.

5. Le chiavi del regno stanno ad indicare la suprema potestà e autorità data a Pietro.
La Bibbia di Gerusalemme nota che “proprio come la città della morte, anche la città di Dio ha delle porte: lasciano entrare solo coloro che ne sono degni”. E rimanda al severo monito di Gesù quando disse: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare” (Mt 23,13). 
“Pietro ne riceve le chiavi. A lui spetterà dunque aprire o chiudere l’accesso del regno dei cieli, tramite la Chiesa”.

6. Il testo di Lc 22,31-32 sopra menzionato è ancora più esplicito.
La Bibbia di Gerusalemme scrive: “Questa parola conferisce a Pietro, nei confronti degli altri Apostoli, un compito di direzione nella fede.
Il suo primato, nel seno stesso del collegio apostolico, è più chiaramente affermato qui che in Matteo 16, 17:19, dove poteva semplicemente essere preso come portavoce o un rappresentante dei dodici”.

7. Adesso veniamo all’autorevolezza del magistero, ai vari gradi in cui si esprime e al modo in cui va accolto.
Il Concilio Vaticano II al numero 25 della Lumen gentium indica coloro che sono investiti dell’incarico di essere maestri all’interno della Chiesa.
Anzitutto vi sono “i vescovi quando insegnano in comunione con il romano pontefice” (LG 25). Essi infatti “sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita”.
“I fedeli devono accettare il giudizio dal loro vescovo dato a nome di Cristo in cose di fede e morale, e dargli l’assenso religioso del loro spirito”.

8. “Quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice” sta a significare che la regola prossima della nostra fede è l’insegnamento del Romano Pontefice con il quale deve concordare l’insegnamento dei singoli vescovi.
In particolare, dice il Concilio, a lui va dato “l’assenso religioso della volontà e della intelligenza anche quando non parla «ex cathedra». Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi che si possono dedurre in particolare dal carattere dei documenti, o dall’insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi”.
Qui c’è da notare che non tutti gli interventi del Papa hanno il medesimo valore. Questo lo si desume in particolare “dal carattere dei documenti, o dall’insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi”.
Il Romano Pontefice nel suo insegnamento si serve anche dei dicasteri della Santa Sede.

9. Maggiore forza poi ha l’insegnamento del Romano Pontefice fatto in comunione con i vescovi, anche se non sono radunati nel Concilio, ma sparsi per l’orbe terracqueo.
Questo insegnamento ha carattere di infallibilità. In questo senso si è espresso il santo Papa Giovanni Paolo II con alcune affermazioni dell’enciclica Evangelium vitae, dove si richiama al consenso dei vescovi singolarmente interpellati.
Ecco le parole del Consilio: “Quantunque i vescovi, presi a uno a uno, non godano della prerogativa dell’infallibilità, quando tuttavia, anche dispersi per il mondo, ma conservando il vincolo della comunione tra di loro e col successore di Pietro, si accordano per insegnare autenticamente che una dottrina concernente la fede e i costumi si impone in maniera assoluta, allora esprimono infallibilmente la dottrina di Cristo”.
Infallibile significa che viene espresso in maniera definitiva e irreformabile.

10. “La cosa è ancora più manifesta quando i vescovi, radunati in Concilio ecumenico, sono per tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale; allora bisogna aderire alle loro definizioni con l’ossequio della fede”.
Ossequio della fede significa che prima ancora che per i loro intrinseci contenuti, questi insegnamenti vanno accolti per l’autorità di coloro che li hanno espressi. Del loro insegnamento ci si può fidare perché Gesù Cristo li garantisce dall’alto come promesso in Matteo 16,18-19) e in Matteo 18,18. 
“Questa infallibilità, della quale il divino Redentore volle provveduta la sua Chiesa nel definire la dottrina della fede e della morale, si estende tanto, quanto il deposito della divina Rivelazione, che deve essere gelosamente custodito e fedelmente esposto”.

11. “Di questa infallibilità il Romano Pontefice, capo del collegio dei vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo pastore e dottore di tutti i fedeli che conferma nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22,32), sancisce con atto definitivo una dottrina riguardante la fede e la morale.
Perciò le sue definizioni giustamente sono dette irreformabili per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa, essendo esse pronunziate con l’assistenza dello Spirito Santo a lui promessa nella persona di san Pietro, per cui non hanno bisogno di una approvazione di altri, né ammettono appello alcuno ad altro giudizio.
In effetti allora il Romano Pontefice pronunzia sentenza non come persona privata, ma espone o difende la dottrina della fede cattolica quale supremo maestro della Chiesa universale, singolarmente insignito del carisma dell’infallibilità della Chiesa stessa”.
Si tratta dei pronunciamenti dogmatici espressi «ex cathedra».

12. Adesso passiamo alla seconda domanda: “la dottrina cattolica è in toto immutabile o in alcune parti può essere cambiata?”.
Certamente è immutabile perché questa dottrina, prima di essere della Chiesa, è di Gesù Cristo, ed è da lui garantita.
Per questo è vero l’assioma teologico: “Quod semel verum, semper verum” (ciò che è fissato o riconosciuto per vero una volta, lo è per sempre).

13. Ciò non significa che il magistero della Chiesa non abbia una sua dinamicità e cioè un suo sviluppo.
Ma questo sviluppo, che è doveroso ed è suscitato dallo Spirito Santo stesso, è vero se è conforme all’insegnamento precedente.
Questa verità l’ha espressa in modo particolare il santo Papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del concilio Vaticano secondo: “Il ventunesimo Concilio Ecumenico — che si avvale dell’efficace e importante aiuto di persone che eccellono nella scienza delle discipline sacre, dell’esercizio dell’apostolato e della rettitudine nel comportamento — vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini” (Discorso di apertura 6,2).

14. Aggiunge il santo Papa: “Occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione” (eodem tamen sensu eademque sententia)” (Ib., 6,5).

15. Nell’enciclica Veritatis splendor il santo Papa Giovanni Paolo II ha detto che questo criterio vale anche per lo sviluppo della dottrina morale della Chiesa.
Lo dichiara nella nota numero 100: “Lo sviluppo della dottrina morale della Chiesa è simile a quello della dottrina della fede. Anche alla dottrina morale si applicano le parole pronunciate da Giovanni XXIII in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962); «Occorre che questa dottrina (= la dottrina cristiana nella sua integralità) certa e immutabile, che dev’essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra venerabile dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata»”.
Benedetto XVI diceva che tale sviluppo avviene all’interno di una ermeneutica della continuità, che si oppone a quella della discontinuità, che rinnega il magistero precedente.
Dall’insegnamento della Chiesa va distinta la disciplina della Chiesa. Questa può variare a seconda delle circostanze e delle esigenze dei fedeli. In tal senso, ad esempio, la disciplina del digiuno eucaristico che ab immemorabili doveva essere custodita dalla mezzanotte e che riguardava anche l’acqua, è stata successivamente ridotta a tre ore e dal 1964 a un’ora, all’interno della quale è lecito assumere acqua e farmaci.

Ecco, ti ho esposto tutto.
Aggiungo solo che il magistero è un grande dono di Dio perché in esso noi troviamo la regola della nostra fede e possiamo essere certi che, almeno sotto l’aspetto dottrinale, siamo sulla strada giusta.
Con l’augurio di una adesione piena di riconoscenza a quanto la Chiesa insegna in materia di fede e di morale, ti benedico e ti accompagno con la preghiera.
Padre Angelo