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Quesito
Caro Padre Angelo,
ho 43 anni e, nonostante sia cresciuta secondo la fede cristiana, ho trascorso molti, troppi anni, senza dare importanza alla messa, tanto meno alla preghiera.
Le rare volte che mi facevo viva in Chiesa, non mi curavo del ritardo, e mi scappava anche da ridere per una cosa o per un’altra. Questo per farle capire quanto misera era la mia condotta.
Eppure avevo frequentato il catechismo ma non era dentro di me la consapevolezza di quanto fosse grave il fatto di mancare alla messa di Gesù eucaristico, non mi inginocchiavo alla consacrazione tanto meno ero consapevole che nel tabernacolo ci fosse Dio vivente.
Quanto ho ferito il Signore e quanto ancora lo ferisco le volte che non mi sento amata. È questo il punto: vorrei sentire l’amore di Dio, vorrei sapere come Dio può amare qualcuna che si sente buona a nulla timorosa di tutto e tutti.
Vorrei sapere come ci si scopre amati da Dio, come si cambia la tristezza in gioia e come si ama con il cuore gli altri.
Scusi, padre, la mia precipitosa lettera è dilagata come un fiume.
Se vorrà rispondermi per un consiglio e benedirmi nelle sue preghiere la ringrazio.
Risposta del sacerdote
Carissima,
1. talvolta il Signore aggiunge ai beni spirituali della grazia qualche consolazione dello spirito.
Ma di per sé non si può dire che i beni spirituali trovano la loro verifica nell’emozione del cuore.
Si tratta di due livelli distinti.
Sarebbe un errore grave valutare con l’elemento sensibile, qual è l’emozione del cuore, un evento di ordine spirituale.
2. All’inizio della vita spirituale il Signore attrae attraverso le sante emozioni, come si evince da quanto dice Egli stesso attraverso il profeta Osea: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,4).
3. Ma molte volte queste tante emozioni non ci sono per i più svariati motivi: o perché siamo troppo stanchi, o perché siamo distratti, o a causa dei peccati.
A volte il Signore non le concede perché non ci crediamo troppo santi o anche per purificare la nostra vita spirituale come avviene in coloro che progrediscono molto in fretta.
San Giovanni della croce ha parlato della purificazione dei sensi e dello spirito, dando ad essi un nome preciso: la notte oscura dei sensi e la notte oscura dello spirito.
4. È vero che il Signore trasforma la tristezza in gioia.
La trasforma e la garantisce per la vita futura. San Tommaso commenta: “I santi infatti piangono nel tempo del merito mentre spargono la semente; ma godranno nel tempo del premio, ossia della raccolta” (Commento al Vangelo di Giovanni 16,20).
5. La trasforma nella gioia in qualche modo già nella vita presente perché dà la forza di saper offrire la propria tristezza a Dio come invocazione di perdono e di salvezza per molti.
La tristezza non viene tolta perché permane come una spina nella carne, come avvenne per San Paolo (cfr. 2 Cor 12,7). Viene però lenita.
6. In questo caso ci si sente amati da Dio nel medesimo modo in cui San Paolo poteva dire: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
Anche in questo caso la sofferenza rimane. Ma nello stesso tempo si può godere intravedendo i frutti di bene che porterà con se stessa.
Perché è simile alla potatura che riceve la vite per produrre frutto: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,1-2).
7. Per sperimentare una simile consolazione è necessario guardare tutto con l’occhio di Dio.
Questo è il segreto per non disperarci mai.
Augurandoti di conservare sempre lo sguardo fisso in Dio e di sperimentare pace, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo