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Quesito

Carissimo P. Angelo,
le scrivo in merito ai testimoni di Geova per quanto riguarda la questione delle trasfusioni di sangue.
Quali sono le loro motivazioni teologiche?
Ma da un punto di vista morale il medico come deve comportarsi? Quando si trova di fronte ad un paziente che rifiuta una terapia che può salvargli la vita cosa deve fare?
La teologia morale come risponde a ciò? Lo stesso per i genitori che decidono per i figli minori. Da un punto di vista morale come dobbiamo valutare tutto ciò?
La ringrazio sempre per il suo lavoro e colgo l’occasione per Augurarle un Santo Natale e buone feste.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. il sangue era per l’orientale antico la sede della vita.
Ecco perché nella Sacra Scrittura si legge: “Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue. Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” (Gn 9,4-5).
Pertanto versare sangue umano era punito con la morte, perchè l’uomo è fatto ad immagine di Dio e la sua vita, cioè il suo sangue, è per conseguenza sacra.

2. Per gli antichi orientali il sangue si identificava con ciò che noi chiamiamo vita, anima e corpo.
C’era il diritto di uccidere gli animali e di mangiarli a condizione di non consumare il loro sangue, perchè la vita appartiene a Dio.
Il sangue degli animali doveva essere versato per terra e ricoperto di polvere, oppure, durante i sacrifici, trattato secondo le prescrizioni rituali: aspergerne l’altare, e versarlo ai piedi dell’altare (Lev 3,17; 17,10-14).

3. I testimoni di Geova intendono il sangue secondo questo significato materiale e pertanto ne vietano le trasfusioni.

4. Il sangue, certo, è una realtà preziosissima per l’organismo.
Tuttavia la sede della vita dell’uomo non sta nel sangue, ma in ciò che anima il sangue e tutto il resto del corpo umano, e cioè nell’anima.
Pertanto come sono leciti i trapianti di organi, a fortiori è lecita la trasfusione di sangue.

5. Ai medici capita talvolta di imbattersi in persone che chiedono cure sanitarie e nello stesso tempo rifiutano la trasfusione di sangue per motivi religiosi.
Di per sé il medico dovrebbe rispettare la volontà del paziente ricordando però che egli può rifiutarsi di prestare le cure là dove, negata la possibilità di ricorrere alla trasfusione, può essere compromesso l’esito delle cure e della salute stessa del paziente.

5. Diverso è il caso della trasfusione di sangue su pazienti minori o inabili, affidati alla patria potestà di un soggetto che rifiuta la trasfusione per motivi religiosi.
La comunità e il medico possono intervenire nonostante il rifiuto manifestato dal tutore, proprio per tutelare il soggetto minore o inabile nel suo diritto primario alla salute e nel rispetto del suo bene personale della vita (cfr. A. AUTIERO, Dizionario di bioetica, voce: trasfusione di sangue).

6. In questo caso infatti la vita del bambino è prevalente su una motivazione di fede religiosa, confutabile col solo buon senso.
I principi religiosi devono essere tutti a favore dell’uomo.
Qualora si presentassero contro il bene dell’uomo non sarebbero principi di un’autentica religione.

Contraccambio gli auguri con gli auguri di ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo