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Quesito

Caro Padre,
le chiedo di spiegarmi alcuni aspetti per me oscuri della parabola del vignaiuolo riportata da Matteo.
Il padrone della vigna (Dio) decide di dare a tutti gli operai (gli uomini che lavorano per il Suo Regno) la stessa moneta (la vita eterna) anche se alcuni operai hanno lavorato molto meno di altri.
Fin qui ci arrivo: Dio è buono e misericordioso, vuole salvare tutti, dà a chiunque si converte e decide di seguirlo, non importa quando, anche alla fine della vita, la salvezza.
Primo dubbio: se anche l’operaio dell’ultima ora merita un posto in paradiso, mi chiedo se chi ha dimostrato nell’intero corso della sua vita coerenza, perseveranza e perfezione di vita cristiana (non è certo il mio caso, ma ad esempio quello dei religiosi, eletti da Dio, che hanno rinunciato a tutto per Dio) non meriti di godere di un particolare privilegio fra le anime beate. In questo senso la moneta con cui verrebbero ripagati non sarebbe proprio la stessa dell’operaio dell’ultima ora e ciò mi sembra che risponda alla giustizia di Dio.
Secondo dubbio: perché l’operaio dell’ultima ora è stato pagato prima di quello che ha lavorato dal mattino? Perché da ultimo è diventato primo? Perché ha ricevuto da Dio non solo la stessa paga (come esige la misericordia di Dio) ma pure il privilegio di essere pagato per primo (mentre la giustizia vorrebbe il contrario)?
Leggo nel Vangelo commentato da Marco Sales che Dio nel dare il premio finale guarda unicamente alla quantità di grazia di cui ciascuna anima è rivestita, aggiungendo che Dio è padrone della sua grazia e la distribuisce a chi vuole e come vuole.
Mi sembra di capire che la vita eterna sia un dono che Dio dà a chi vuole (purché ovviamente l’uomo lo accetti) e che il merito conti poco perché in fondo l’uomo non ha mai merito delle buone azioni che compie, in quanto esse dipendono da Dio stesso che gliele fa compiere. Non le sembra in fondo un po’ ingiusto questo? Che ne è dell’impegno umano? Della sofferenza? Delle rinunce? Nulla conta sembrerebbe contare veramente davanti a Dio di quello che facciamo di buono, è Lui che decide se dare a un uomo un kilo di grazia oppure un quintale e chi ne ha avuta di più, anche se ha fatto meno, salta la fila e prende il primo posto nella riscossione del premio.
La saluto cordialmente e ringrazio dell’attenzione.
Michael


Risposta del sacerdote

Caro Michael,  
1. quando i rapporti tra le persone sono regolati dalla giustizia, si può parlare opportunamente di ingiustizia.
Ma in un regime di grazia non si può parlare di ingiustizia, perché tutto è grazia.
Nella vita cristiana non c’è nessun merito ad essere stati chiamati fin dalla prima ora.
È grazia anche questa.
Anche diventare grandi santi è grazia.
Tutto è grazia, diceva Santa Teresa di Gesù bambino

2. Inoltre va notato che il linguaggio del Signore è espresso in una parabola per cui il discorso talvolta è iperbolico.

3. Non va dimenticato poi il significato più profondo della parabola che riguarda i pagani che hanno ricevuto l’annuncio della salvezza soltanto alla fine.
Gli ebrei non avevano nessun merito ad essere stati il popolo eletto e aver ricevuto la rivelazione per primi.

4. San Tommaso, commentando questo passo evangelico (Mt 20,1-15), dice che tutti entrando nella vita eterna hanno ricevuto qualcosa di uguale e qualcosa di inuguale.
Perché tutti hanno ricevuto la beatitudine del paradiso, e in questo la retribuzione è uguale. Gli ultimi diventano primi, e cioè pari ai primi, come dice San Giovanni Crisostomo.
Ma ognuno partecipa in maniera più grande dell’altro.
E con le sue testuali parole: “Dico che quanto a qualcosa ci sarà un’uguale retribuzione e quanto a qualcosa no: poiché la beatitudine può essere considerata quanto all’oggetto, e così è una sola la beatitudine di tutti; oppure quando alla partecipazione dell’oggetto, e così non tutti parteciperanno ugualmente, poiché non vedranno così chiaramente; Gv 14,2: “nella casa del padre mio ci sono molti posti”. Ed è come se molti vanno all’acqua e uno porta un vaso più grande di un altro: il fiume si espone totalmente, ma non tutti ne prendono ugualmente; così chi ha l’anima più dilatata per la carità ne prenderà di più”.

5. A chi mormorava perché aveva sopportato la giornata e il caldo “Amico, io non ti faccio torto”, sono Tommaso scrive: “Do a lui ciò che è mio, non ciò che è tuo, quindi non ti faccio torto”.

6. Rimanendo nell’ambito della retribuzione, San Paolo infatti dirà che in cielo per loro che godono della risurrezione della carne e della visione di Dio vi sono diverse grandezze: “Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore” (1 Cor 15,41).

7. Infine i teologi aggiungono un’ulteriore distinzione tra gloria essenziale e gloria accidentale.
Insieme alla beatitudine che è identica per tutti (la gloria essenziale) e tuttavia ognuno ne partecipa secondo la grandezza della sua carità, c’è anche la gloria accidentale, che consiste nella fruizione di molti altri beni che non si identificano con la visione beatifica di Dio.
Per cui in cielo c’è misericordia eterna per tutti ma anche giusta retribuzione a seconda dei meriti.

Con l’augurio di vederti tra i santi più alti del cielo, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo