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Quesito
Caro Padre Angelo,
Le scrivo ancora una volta perché sono confuso riguardo a una questione già da parecchio tempo quando ritorna alla mente.
Premetto che con il fatto di aver cambiato città per via di un nuovo lavoro mi e capitato di confessarmi da più sacerdoti.
Vivo all’estero e periodicamente ritorno per le vacanze in famiglia. Mio fratello mi ha chiesto che cosa pensavo della sua situazione di convivenza omosessuale. Io gli ho detto, senza toni di condanna, che quello che ho sempre saputo e che mi è stato detto anche in confessione che due uomini possono anche provare delle emozioni di amore vicendevole ma la Chiesa vieta comunque il rapporto omosessuale perché lo ritiene peccato. Ho anche detto che lo stesso vale per la fornicazione quando due fidanzati si uniscono nell’atto sessuale prima del matrimonio.
Non nascondo che le mie parole non sono state dure perché temevo di allontanare ancora di più mio fratello dalla misericordia di Dio facendolo sentire pesantemente in colpa.
Ho anche detto che comunque la strada per essere figli di Dio è difficile e si può anche cadere ma c’è sempre la misericordia di Dio a venirci incontro.
Tutto questo l’ho detto in confessione ad un nuovo sacerdote della mia nuova città in cui mi trovo e lui mi ha ripreso dicendomi che a volte la vita richiede di essere profeti e di dire le cose con chiarezza dicendomi di telefonare a mio fratello e ricordare il catechismo della chiesa cattolica.
Dopo questa confessione non mi sono sentito di chiamare così mio fratello e fare quanto mi aveva detto il confessore alla lettera. Tuttavia mi ricordo una telefonata (una delle solite periodiche) in cui consigliai a mio fratello di confessarsi per poter essere in grazia di Dio e fare la comunione. Era l’unica cosa che in quel momento mi sono sentito di dire (mio fratello è credente venendo dalla stessa famiglia mia).
Dato che il dubbio mi assaliva nei periodi successivi ho anche confessato tutto questo al mio confessore nella vecchia città dove abitavo e anche ad un altro quindi in due situazioni per via sempre di questo dubbio sull’ubbidienza cieca al confessore.
Mi è stato detto (con mio sollievo anche) che l’importante era, quando avrei avuto occasione di parlare con mio fratello, di rimarcare l’importanza di andare a messa e quanto io ci tenevo a lui. Anche dicendomi che ci sono momenti opportuni per dire alcune cose e momenti non opportuni e che a volte la cosa da fare è pregare. Tutto questo mi è sembrato illuminante e liberante e così ho fatto e continuo a fare.
Vengo al dunque. adesso, per vicinanza vado a confessarmi abitualmente di nuovo dal confessore che all’inizio mi diede quel consiglio ma avendo in coscienza pensato che la questione appartiene al passato non sono più ritornato sull’argomento neanche con lui.
In tutto questo ho sempre fatto e continuo a fare la comunione perché non ho ritenuto con certezza di essere in peccato mortale.
Tuttavia mi sorge sempre il dubbio di non aver obbedito ciecamente e di essere in peccato, magari mortale e ci ripenso quasi ogni volta che vado a messa.
Mi scuso per la lunghezza del messaggio, ma vorrei un suo parere che possa chiarire questo dubbio. So che è impegnato a rispondere a molte altre domande e aspetto se troverà il tempo di rispondere alla mia.
Intanto la ringrazio e prego per lei e tutti quelli che lavorano a questo servizio perché mi ha aiutato molte volte. Certe risposte sembrano proprio cucite anche per le mie situazioni.
Cordialmente,
Francesco
Risposta del sacerdote
Caro Francesco,
1. La tua mail mi dà l’opportunità di chiarire alcune cose circa la confessione.
La prima: come emerge dalla tua mail è sempre consigliabile andare dal medesimo confessore.
La pluralità di indicazioni che può venire dai confessori più disparati che non conoscono le problematiche del penitente può mettere in confusione.
Il consiglio di Don Bosco era proprio questo: di andare sempre dal medesimo confessore in modo che diventi come il padre della nostra anima.
In questo caso l’obbedienza al confessore diventa preziosa perché sappiamo che ordinariamente Dio manifesta la sua volontà attraverso il suo ministro proprio nella celebrazione di quel sacramento.
Se non sono sufficienti le parole dette da Nostro Signore a Santa Teresa d’Avila che le comandava di obbedire al confessore anche se le parole del confessore erano diverse da quelle che lei aveva ricevuto direttamente da Dio, ci sono molte testimonianze derivanti da altri santi, in particolare da Santa Faustina Kowalska. Quante volte il Signore le ha detto di obbedire al confessore.
Ecco quanto riporta la Santa: “Figlia mia, desidero che fin dalle più piccole cose dipenda dal confessore.
I tuoi più grandi sacrifici non mi piacciono se li compi senza il permesso del confessore, mentre al contrario il più piccolo sacrificio ha una grande importanza ai miei occhi, se è fatto col permesso del confessore.
Le più grandi opere sono senza importanza ai miei occhi se sono frutto del proprio arbitrio, e spesso non si accordano con la mia volontà e meritano piuttosto un castigo e non un premio; mentre la tua più piccola azione fatta col permesso del confessore è gradita i miei occhi e mi è immensamente cara.
Convinciti bene di questo per sempre. Vigila incessantemente, poiché tutte l’inferno si sta impegnando in tutti i modi contro di te, a causa di quest’opera, poiché molte anime si allontaneranno dalla bocca dell’inferno e glorificheranno la mia misericordia” (Diario, n. 639)
Per Santa Teresa d’Avila va detto tra parentesi che quando lei tornava dal confessore, in obbedienza a quello che le aveva detto Dio direttamente, trovava che il confessore le dava ora un parere perfettamente conforme quello di Dio.
2. Come seconda cosa: se ti capita di confessarti da un altro sacerdote perché ne hai necessità o magari ti trovi in un altro paese, ti terrai all’accusa stretta dei peccati, senza domandare consigli particolari per la tua vita soprattutto in riferimento ad altri, come ti è capitato nel caso che mi hai riferito.
Il sacerdote, per quanto il Signore lo illumini, non ha la scienza infusa e per dare indicazioni concrete ha bisogno di conoscere la vita di chi gli sta davanti illumini. E questo ma non si attua in un attimo.
Per cui, per i consigli, farai riferimento al tuo confessore ordinario.
3. Per quanto attiene al sacerdote che ti ha detto di tornare a casa e di prendere subito in mano la cornetta del telefono ti sei accorto che il consiglio non era praticabile nell’immediato.
L’interpretazione giusta te l’hanno data gli altri confessori quando ti hanno ricordato le parole della Sacra Scrittura dove si legge: “c’è un tempo per parlare e c’è un tempo per tacere” (Qo 3,8).
4. San Tommaso, insieme con tanti pensatori del passato, ricorda che le nostre azioni devono essere guidate da quella sapienza che in gergo teologico viene anche chiamata prudenza.
Ora ogni decisione sapiente, dice San Tommaso, deve compiere tre passaggi: far memoria del passato, conoscere la situazione presente, prevedere gli effetti o gli insuccessi delle nostre decisioni.
Per parlare di problemi così grossi come quelli legati all’affettività di una persona è necessario cogliere il momento opportuno: una telefonata all’improvviso mentre una persona è impegnata in altro a motivo del proprio lavoro o delle proprie incombenze oppure perché non è ben disposto ad ascoltare può rivelarsi inopportuna e addirittura devastante.
Quando sei tornato dal sacerdote che ti aveva dato quel consiglio hai fatto bene a non toccare l’argomento.
Su questo devi rimanere in pace come ti hanno fatto comprendere i confessori che nel frattempo hai consultato.
Ti ringrazio vivamente per le preghiere fatte per me. E le contraccambio volentieri. Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo