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Quesito

Gentile Padre Bellon,
è una mail un po’ confusa questa e pertanto chiedo immediatamente scusa. Non so esattamente da che parte cominciare. Un caro amico mi ha segnalato la sua rubrica con un link in risposta ad una mia domanda su un quesito morale che gli avevo posto, ed in questi giorni l’ho saccheggiata: La ringrazio quindi per l’opera meritoria che svolge, Dio gliene renda merito.
Come da oggetto, però, la mia domanda è di natura più personale anziché meramente dottrinale. Si può essere, Padre, autenticamente felici pur disattendendo coscientemente la vocazione più intima che Dio ci ha messo nel cuore?
Ho … anni e tre relazioni alle spalle; l’ultima, specialmente, negli anni universitari (per me conclusisi, diciamo) assai tardi. Sulla limpidezza delle suddette, preferisco sorvolare perché non giova alla mia onorabilità. Pur tuttavia, mai mi hanno lasciato una felicità piena. Tant’è che durante l’ultima (conclusasi ormai qualche anno fa) per ben due volte ho intrapreso un cammino di discernimento vocazionale, con palese sgomento della mia allora “fidanzata” (è improprio ma spero si capisca ugualmente): la prima volta, il sacerdote che teneva il cammino mi chiese apertamente di lasciare la ragazza con cui ero impegnato. Rifiutai, pensando forse di tenere il piede in due staffe e, lasciandomi obnubilare dai sensi, giungere comunque ad un qualche risultato. Lasciai il cammino a metà anno, poco dopo, comunque, che il gruppo si dissolse. Riprovai l’anno seguente col mio Direttore spirituale, che mi diede lo stesso identico consiglio, dicendomi però che avremmo fatto ugualmente il cammino ma che il condizionamento nella libertà della scelta che poi avrei avuto sarebbe stato quantomeno preponderante: finì allo stesso modo, infatti. (…).
Poi la pandemia.
La pandemia è stata un laboratorio spirituale interessante per me, molto. Mi sono rifatto la grande domanda: perché non sono felice? Perché ho speso tanti anni nell’inconcludenza (degli studi, che si avviano ora alla fine, e delle relazioni)? Che cosa mi manca? Cosa mi basterebbe?
Il come io sia cattolico, se glielo raccontassi, Le parrebbe una di quelle storie epiche di predestinazione; come poi io sia stato cresciuto, lo rassomiglierebbe ad una di quelle vecchie storie piene di pii sentimenti religiosi: nella mia famiglia il sacerdozio non è mai stato un tabù, anzi.
Per anni ho pensato che proprio questa educazione mi avesse messo nell’animo questa predisposizione che, più che autentica vocazione, leggevo solo come consolatoria via ad una vita già difficile.
Ma non ho trovato né consolazione né felicità nelle relazioni, pur intense, che ho vissute: mi accendevano e spegnevano come un fuoco fatuo, anche se cristianamente vissute come lo è stata la seconda delle tre. (…).
Allora, ripongo la domanda: se pur nella ormai lungamente maturata certezza di una vocazione alla vita consacrata, io scegliessi altresì scientemente la vita matrimoniale e mi adoprassi per vivere quanto più cristianamente le mie forze (e la Divina Grazia) mi renderanno capace un possibile futuro fidanzamento ed un conseguente matrimonio; sarei io autenticamente felice?
La felicità, mi è stato insegnato, sta nel conoscere, amare e servire Dio. Potrei io pienamente conoscere, amare e servire Dio scegliendo altro da ciò che Egli pare indicarmi?
Confidando nella Sua cortese risposta, cordialmente La saluto
in fide Christi,


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. non entro nello specifico della tua vocazione. Da parte mia sarebbe imprudenza dire se vi sia un’autentica chiamata.
Solo il tuo direttore spirituale può dirti una parola certa alla luce anche delle periodiche relazioni che hai avuto.

2.  La castità è uno degli elementi essenziali nella valutazione della vocazione. 
San Paolo esorta a stare uniti al Signore senza distrazioni.
Dice anche: “Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare” (1 Cor 7,8-9).
Tutti sono soggetti alla tentazione.
Un conto però è la tentazione e un altro conto invece è essere vinti dalla tentazione e perdere Dio.
E siccome per ognuno di noi il bene più importante è Dio, allora a coloro che non sanno contenersi e a motivo di questo pérdono Dio, San Paolo dice di prendere tranquillamente la strada del matrimonio.

3. I candidati al sacerdozio devono vivere permanentemente nella purezza.
Non si tratta di avere la castità nel desiderio, ma di averla attualmente.
La castità non si improvvisa all’istante, né spunta con l’entrata in seminario o con l’essere ordinati sacerdoti. Deve essere praticata prima.

4. Mi chiedi se uno sarà felice se seguirà una strada che non è quella consigliatagli dal Signore.
Ebbene proprio in questi giorni mi è capitato uno scritto sulla vocazione del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari della Consolata e nipote di San Giuseppe Cafasso, 
Ecco che cosa scrive:
Vi è obbligo di seguire la vocazione?
Sant’Alfonso, Dottore moralista benigno, risponde che non seguire la propria vocazione per sé non è peccato (eccetto che uno sia convinto, stando nel mondo, di perdersi), perché Nostro Signore non ne ha fatto un precetto.
Tuttavia in pratica di rado uno va esente da peccato a motivo dei pericoli cui espone la propria salvezza, scegliendo uno stato non conforme alla volontà di Dio. E cita in proposito quanto asserisce D. Albert: “Quantunque, assolutamente parlando, costui possa salvarsi, non potrà tuttavia provvedere alla salvezza della sua anima se non con grande difficoltà”.
Il Signore, essendosi proposto da tutta l’eternità di crearci, stabilì, assieme a tutte le circostanze di tempo e di luogo, anche la strada che dobbiamo batterein essa seminando le grazie che ci avrebbero aiutati a ben vivere, a santificarci, a giungere felicemente al Paradiso.
Fortunato chi non devia dalla linea tracciatagli da Dio! Infelice chi scarta! Questi cammina per la via delle sole grazie sufficienti, che in pratica non bastano. Onde il detto: dalla grazia sufficiente liberaci, o Signore
San Paolo insegna che ciascuno ha il suo dono da Dio (1 Cor 7,7). La vocazione è per noi questo dono, di cui solo nell’eternità comprenderemo la preziosità. E il rifiutarlo non è nulla? 
Il Signore ci invita a uno stato di perfezioneci offre un posto distinto nella Chiesa e nel Cieloci dà un segno di divina predilezione, e noi rifiutiamo tutto questo! Vi par nulla?… 
Si dirà che si tratta solo di consiglio. Sia, ma è così che si stimano i consigli di Dio? 
Se San Francesco Saverio avesse opposto un rifiuto alla divina chiamata, che ne sarebbe ora di lui? Alla santità non sarebbe giunto certamente” (La vita spirituale, pp. 19.20).

5. E concludeva: “Ricordatevi sempre che la prima offerta per l’Istituto, di cento lire, la ricevetti da un sacerdote di cui non seppi mai il nome, che diceva di inviarlo per far tacere il rimorso di non aver seguito da giovane la chiamata all’apostolato tra gli infedeli.
Ah, no, non crediamo di essere noi a fare un atto di degnazione verso Dio, se rispondiamo alla sua chiamata!
È Lui invece che fa a noi un grande dono di elezione e di predilezione” (Ib., p. 20).

6. Pertanto, giunti alla certezza morale della vocazione, si deve fare ogni cosa per custodirla.
Non si conserva da sola. Ha bisogno di essere custodita e alimentata per diventare sempre più sicura e santa.

Forse desideravi una parola che ti tranquillizzasse.
In compenso ti assicuro una fervente preghiera perché tu possa comprendere quale sia la volontà di Dio su di te.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo