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Un profilo di Joseph Ratzinger – La cornice storica, l’ambiente, la giovinezza
1 – Il mattino del 31 dicembre ha terminato la sua vicenda terrena Joseph Ratzinger-Benedetto XVI.
Ha lasciato questo mondo “in punta di piedi” – ha osservato qualcuno – così come è sempre vissuto.
Un’esistenza molto lunga la sua e molto ben spesa.
Joseph Ratzinger nasce il 16 aprile 1927, un sabato santo, in un paesino della diocesi di Passau, nella Baviera sud-orientale, non lontano dalla frontiera con l’Austria. Questa regione periferica della Germania, con il paesaggio alpestre e boscoso, con le ricche memorie di un Cristianesimo ben radicato in quella società prevalentemente contadina, almeno allora, lascia un’eredità di memorie e di affetti che non verrà mai meno.
I coniugi Ratzinger hanno già due bambini, Maria e Georg, che saranno sempre assai affezionati a Joseph. Il padre e la madre, che Joseph chiama nella sua autobiografia, intitolata “Mein Leben” (“La mia vita”) “i miei buoni genitori” sono persone semplici, laboriose, sostenute da solidi principi e da una sincera e intensa pietà, che trasmettono ai figli.
Sono anni assai critici per la Germania. Gli anni ’20, dopo una ripresa economica seguita ai disastrosi effetti della sconfitta nella “grande guerra”, terminano con un uovo crollo dell’economia, colpita dalla recessione. Tutti i ceti sociali ne risentono. Il numero dei disoccupati aumenta sino a circa sei milioni all’inizio degli anni ’30. La vita politica torna a essere, come negli anni immediatamente successivi al crollo dell’Impero (novembre 1918) il regno della violenza e degli estremismi: il partito nazionalsocialista e il partito comunista diventano rispettivamente la prima e la terza forza nel Parlamento, mentre le loro milizie si combattono nelle strade, arruolando molti scontenti del regime democratico instaurato con la repubblica di Weimar (gennaio 1919).
Il 30 gennaio 1930 il presidente della Repubblica Paul Hindenburg conferisce al capo del partito che ha la maggioranza relativa, ossia ad Adolf Hitler, la carica di cancelliere. La maggioranza dei Tedeschi non voterà in maggioranza per i nazionalsocialisti di Hitler; questi ottengono nelle elezioni del marzo 1933 il 44 dei voti, che tuttavia, grazie all’appoggio di un partito minore di destra consente di avere la maggioranza in Parlamento. Comincia per la Germania il cupo periodo della dittatura nazista. Il nuovo regime non si limita a mettere fuori legge tutti i partiti e i sindacati, con l’eccezione di quello nazionalsocialista, ma intende riplasmare l’uomo tedesco, sulla base di un neopaganesimo e di un culto della razza ariana, che avrà conseguenze sempre più gravi e infine feroci nel corso degli anni, sino alla “soluzione finale”, messa in atto a partire dal 1942.
Gli effetti dell’avvento del nazismo non sono così devastanti ovunque. Innanzitutto il volto più cupo si mostra a partire dal 1938-1939, allorché comincia la mobilitazione in vista di una guerra che Hitler ha già programmato; inoltre, pur essendo già in funzione e molto affollati, fin dal 1933 campi di detenzione per oppositori politici (uno dei primi è quello di Dachau, in Baviera), la persecuzione non colpisce ugualmente tutti i dissenzienti. Non si dimentichi che nel luglio 1933 il governo tedesco ha firmato con la Santa Sede un Concordato, che dovrebbe tutelare i diritti dei cattolici, che in Germania sono una minoranza cospicua. Il governo nazista non rispetta le norme di questo accordo, ma i cattolici, anche se contrari al regime (fra questi vi è il padre di Joseph Ratzinger), non sono tra i cittadini più perseguitati. Le cose cambieranno, anche nei confronti dei cristiani, sia protestanti sia cattolici, negli anni successivi.
Anche in Baviera il nuovo corso politico fa sentire i suoi nefasti effetti, benché in misura minore che in altre regioni della Germania e tanto più nei piccoli centri in cui risiede la famiglia Ratzinger.
Joseph trascorre serenamente la fanciullezza – come si evince dall’autobiografia, composta quando è già stato nominato vescovo di Monaco (1977), attratto dal paesaggio naturale e dall’arte, soprattutto dagli edifici sacri che abbelliscono anche i piccoli centri della sua terra.
Più tardi verranno gli anni tristi, per l’inizio e il protrarsi della guerra, con la scia di caduti in combattimento, di morti, di feriti, e di sofferenze materiali e morali, che non lasciano indifferenti le persone sensibili. Joseph è un bambino e poi un adolescente sensibilissimo; egli non disdegna i giochi della sua età, ma è già dotato di una intensa vita interiore, testimoniata dall’autobiografia.
2 – L’atmosfera famigliare, le buone abitudini apprese dai suoi, l’esempio del fratello e di altri giovani conoscenti, il senso del sacro lo dispongono a entrare in seminario quando ha dodici anni. “Fu un tempo ricco e intenso, riempito dalla speranza nella grandezza che mi dischiudeva sempre di più nel mondo sconfinato dello spirito”. Si potrebbe dire, fatte le debite proporzioni quello che l’Autore sacro dice di Gesù: “Cresceva in età, sapienza e grazia…”
Gli anni del “seminario minore”, come si chiamava un tempo, corrispondevano alla frequenza del ginnasio. Joseph continua a essere uno scolaro e poi studente zelante e appassionato soprattutto alle discipline umanistiche: “I classici latini e greci mi entusiasmavano, anche la matematica aveva intanto cominciato a piacermi, ma soprattutto ora scoprivo la letteratura. (…) Leggevo Goethe con entusiasmo, mentre Schiller mi pareva un po’ troppo moralista. Amavo soprattutto gli scrittori del XIX secolo (…) e mi volsi con gioia rinnovata ai testi liturgici, che cercavo di tradurre io stesso dai testi originali in maniera migliore e più viva”.
Egli confessa anche una sua debolezza: “Non essendo affatto dotato per le attività sportive ed essendo tra l’altro il più piccolo tra i miei compagni di studio, che erano anche di tre anni più anziani di me, ero nettamente inferiore per forza fisica a quasi tutti loro. Per la verità (…) i miei compagni erano molto tolleranti, ma alla lunga non è bello dover vivere della tolleranza degli altri e sapere che per la squadra di cui si è parte si è solo un peso.” Questa relativa deficienza potrebbe derivare, oltre che da attitudini specifiche meno sviluppate, anche da un più debole spirito agonistico. L’agonismo è una delle componenti più importanti dell’essere umano e non è circoscritto all’ambito ginnico-sportivo, sebbene proprio in questo i ragazzi e i giovani (anche le ragazze, ma in misura minore) sfogano la loro esuberanza in gara con i coetanei, impegnandosi o almeno tentando di superarli quanto a forza, velocità, abilità…
Credo che, se questo spirito competitivo non è portato all’estremo e se si accompagna alla lealtà, sia compatibile con le più elevate virtù umane e cristiane. Non si vuol dire peraltro che l’assenza o la debolezza di questo spirito agonistico comprometta l’umanità o la virilità.
Tuttavia Joseph Ratzinger non è indifferente allo sport, come ha avuto modo di dichiarare in diverse occasioni: “Quel poco che so della morale l’ho appreso sui campi di calcio”.
Teniamo presente due espressioni appena citate: “Schiller mi pareva un po’ troppo moralista” e” Quel poco che so della morale”. Non dobbiamo enfatizzarle né isolarle dalla vita e dal pensiero del futuro papa, ma qualcosa significano e perciò andranno approfondite. La prima è sorprendente, in quanto Schiller, poeta lirico, drammaturgo e pensatore, è un critico del razionalismo etico di Kant in nome dei diritti della sensibilità, ossia dell’anima bella, la quale compie spontaneamente, senza sforzo, ciò che è moralmente giusto. La seconda non è da prendere troppo sul serio, in quanto Joseph Ratzinger ha studiato la morale e soprattutto è una persona di grande rettitudine. Indiscutibile invece è il suo amore per la musica, che condivide con i membri della sua famiglia. Egli non ha la competenza professionale del fratello Georg, che diviene prima maestro di cappella a Traunstein, una cittadina della Baviera, ove i Ratzinger si sono stabiliti nel 1937, e poi direttore del coro della cattedrale di Regensburg (ossia Ratisbona), una città sull’alto corso del Danubio, sede di una delle più antiche diocesi tedesche. Joseph suona il pianoforte fino agli ultimi anni di vita ed è affascinato dalla musica classica. I suoi autori preferiti sono: Johann Sebastian Bach, che egli definisce il “maestro dei maestri” e che ha una concezione profondamente religiosa dell’arte, Antonio Vivaldi, Wolfgang Amadeus Mozart, al quale lo lega da sempre “un affetto particolare”, Ludwig Van Beethoven, specialmente il Beethoven delle sinfonie e soprattutto della nona, Franz Schubert e Giuseppe Verdi. La musica non è per lui un trastullo, sia pure elevato, ma molto di più; per lui “Cantare è quasi un volare, un sollevarsi verso Dio, un anticipare in qualche modo il canto dell’eternità”.
Nell’autobiografia egli non descrive i crimini del nazismo né gli eroismi della resistenza tedesca contro quel regime. Egli non giunge, come fa il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), a pregare Dio per la sconfitta della Germania (Bonhoeffer è arrestato in quanto oppositore e giustiziato il 16 aprile 1945) e non nomina la Rosa Bianca, un gruppo di opposizione costituitosi a Monaco di Baviera tra il 1942 e il 1943; ma si sente la sua tristezza per lo sfacelo, non solo militare, ma anche soprattutto spirituale, che coinvolge la Germania.
I fratelli Ratzinger sono chiamati sotto le armi loro malgrado. Prima il fratello Georg, che è di stanza in Italia, poi anche Joseph, arruolato negli addetti alla contraerea in alcune zone della Germania meridionale e dell’Austria nord-orientale. Non risulta che abbia mai sparato. In ogni caso, questa esperienza, pur breve, deve averlo segnato, anche perché comporta, oltre a tutto il resto, una certa promiscuità che Joseph, di indole schiva e delicata, non gradisce. Del resto, appena può, fugge e ritorna a casa. Viene poi arrestato dagli Americani e trascorre alcune settimane in prigionia. Nella primavera del 1945 la Germania è un cumulo di rovine e quelle materiali non sono neppure le più gravi. I fratelli Ratzinger finalmente si ricongiungono e rientrano in seminario.