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Quesito

La ringrazio infinitamente per l’esaustività delle Sue risposte; proprio per questo desidero farLe altre due domande, se non è di disturbo.
1. In che modo la teologia risolve il problema del noumeno? Glielo chiedo perché penso che, affinché dimostrazioni come la quinta via di S. Tommaso possano essere considerate valide, sia necessario dimostrare la validità dei sensi (che noi utilizziamo appunto per osservare il governo delle cose) nel percepire la realtà così com’è di per sé. Altrimenti, si potrebbe dire che quei sensi di cui noi ci serviamo proprio per notare che alcuni corpi fisici privi di conoscenza operano per un fine razionale, non sono affidabili e, pertanto, non è affidabile la quinta via.
2. Com’è possibile che Dio, se è perfetto e non può agire in contrasto con la sua natura perfetta, si sia incarnato nel corpo di un uomo finito e imperfetto?
Le sono davvero grato per la Sua disponibilità e per la benedizione.
La ricordo sempre nella preghiera.
Matteo


Risposta del sacerdote

Caro Matteo,
1. Kant distingue tra fenomeno e noumeno.
Il fenomeno è ciò che appare esteriormente ai nostri sensi secondo le categorie dello spazio e del tempo.  
Secondo Kant la nostra conoscenza verso le realtà esteriori ci dice solo come esse appaiono.
Ma non ci dà la conoscenza della cosa in se stessa.
Tuttavia la conoscenza delle apparenze di una realtà è preziosa perché ci dice che quella realtà perlomeno esiste.

2. Il noumeno invece è ciò che noi chiamiamo sostanza e che sta al di sotto delle apparenze colte dei sensi.
Secondo Kant la nostra mente è incapace di conoscerlo, perché può conoscere soltanto se stessa con le proprie categorie.

3. Ma è proprio qui che si introduce una fallacia in Kant. Nega che si possa conoscere la sostanza, ma parte dal presupposto che noi conosciamo in maniera certa solo la nostra mente, di cui ne definisce tutte le categorie, che secondo il suo dire sarebbero 12.
Con pari certezza nega che noi possiamo conoscere qualsiasi essenza o sostanza.

4. Ma non è proprio questo il punto di partenza per dire che se conosciamo con certezza la sostanza o l’essenza della nostra mente e della mente degli altri siamo in grado di conoscere anche la sostanza o l’essenza di ciò che è fuori dalla nostra mente?

5. Un’altra fallacia di Kant è questa: egli mette in dubbio che la nostra intelligenza sia capace di conoscere la realtà come sia in se stessa perché ne conosceremmo solo alcune apparenze o fenomeni.
E tuttavia stabilisce i criteri con i quali il nostro intelletto può conoscere.
Questi criteri, che egli chiama a priori della mente,  sarebbero criteri infallibili.
Ma non è anche questo un procedere dalla realtà della nostra mente ai contenuti della realtà, che in questo caso coincide con l’idea?

6. Kant asserisce che la connessione causa – effetto è una categoria della nostra mente, ma non corrisponde alla realtà. È solo un nostro modo di pensare.
Qui senza fare troppe astrazioni possiamo constatare che ognuno, dappertutto, e tanto più nell’ambito scientifico, cerca di conoscere le cause reali degli eventi e non pensa affatto di esprimere una legge soggettiva dell’intelletto, di applicare una categoria mentale ai fenomeni.
Un esempio terra terra: se giocando a calcio tu riesci ad infilare il pallone nella rete dell’avversario, dirai che tu sei la causa del goal. E vuoi e pretendi che tutti lo riconoscano. E, di fatto, tutti onestamente lo riconoscono senza batter ciglio.

7. A questo punto Kant dice che, sì, nell’esperienza dei fatti questo lo possiamo ammettere. Ma non possiamo passare da ciò che avviene nell’esperienza di un determinato evento ad una legge universale.
In altre parole, se possiamo dire che se c’è una casa, c’è anche uno che l’ha costruita.
Ma, sempre secondo Kant, non possiamo passare da quest’esempio a concludere che il mondo deve avere un artefice e che questo artefice sia Dio.
Egli dice testualmente: “Quando noi volgiamo la nostra ragione non semplicemente per l’uso dei principi dell’intelletto agli oggetti dell’esperienza, ma ci avventuriamo ad estenderla aldilà dei limiti di questa, allora vengono fuori le proposizioni sofistiche che dalla esperienza non possono né sperare conferma né temere confutazione” (Critica della ragion pura, p. 11).
E parla della dimostrazione dell’esistenza di Dio come di un sofisma e cioè di un ragionamento ingannevole. (A scanso di equivoci, Kant riconosce l’esistenza di Dio, ma nega che si possa dimostrare).
Tuttavia possiamo chiedere ad Emmanuel Kant come mai egli estende gli a priori della sua personale intelligenza all’intelligenza di tutti  gli uomini. Non è questo un avventurarsi ad estendere la propria personale esperienza aldilà dei limiti di questa (per usare le sue stesse parole)?

8. C’è pertanto un ordine nelle cose e nel cosmo ed è proprio a motivo di questo ordine per cui tutto si muove in maniera pianificata e non in base al caso che San Tommaso conclude all’esistenza di un’intelligenza prima o primordiale che ha posto tale ordine. Questa intelligenza prima e primordiale è colui che noi chiamiamo Dio.
Quest’ordine è certamente nella nostra mente, ma non è semplicemente un prodotto della nostra mente, un nostro modo di conoscere (come vorrebbe Kant), ma le è antecedente e la mente lo riconosce come tale.

9. Che cosa c’è di vero in quanto dice Kant a proposito della nostra conoscenza? Che quelli che gli chiama a priori della nostra intelligenza non sono altro che quei principi oggettivi di primordiale evidenza che si impongono all’intelligenza stessa, quali ad esempio che il tutto è maggiore della parte.
Questi principi, che vengono detti primi perché sono alla base della conoscenza, sono immutabili e identici in tutti.
Ed è per questo che le persone, parlando fra di loro, si capiscono. 
Tuttavia questi principi non sono soltanto nella nostra mente, come direbbe Kant. Ma prima di essere nella nostra mente sono nella realtà. Sono così evidenti che la nostra mente ne rimane conquistata per cui diciamo: sì, è proprio così.
Pertanto la verità è l’adeguazione tra la realtà e quello che è rappresentato nella nostra mente (adaequatio rei et intellectus) e non semplicemente ciò che la nostra mente dice della realtà.

10. Passando adesso alla seconda domanda, la risposta viene dalla Sacra Scrittura stessa.
Dio si è fatto in tutto come noi, ad eccezione del peccato, che è sinonimo di errore e di imperfezione. Dice la lettera agli Ebrei: “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15).

11. Con l’incarnazione Dio ha assunto la natura umana, che dopo il peccato originale è una realtà inferma. L’ha assunta per redimerla, per sanarla.
Ed è proprio in questo che si manifesta la sua onnipotenza, perché là dove l’uomo ha portato alla morte, Egli riporta la vita.
Gesù dice: “Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,28-29).

Ti ringrazio per i quesiti, anche se il primo risulterà un po’ ostico per i nostri visitatori.
Ti benedico e ti ricordo volentieri nella preghiera.
Padre Angelo