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Quesito
Caro padre Angelo,
“La vita umana va difesa dal concepimento fino alla sua morte naturale”
Cosa si intende oggi per ‘‘morte naturale’? Considerando i notevoli progressi della medicina e della tecnica dove arriva oggi la “morte naturale” rispetto al concetto stesso di morte naturale di 50, 100 o 300 anni fa?
Cerco di spiegarmi. Il fatto di poter applicare oggi delle tecniche impensabili anni fa su una persona gravemente ammalata per aiutarla a continuare a vivere o a guarire (sondini, tracheotomia, ecc…), non rischiano in seguito di procurare anche degli “effetti collaterali” con cui bisogna fare i conti?
Non può essere che applicando una determinata tecnica possibile oggi per aiutare a vivere meglio, si arrivi poi ad una sorta di accanimento terapeutico per poter mantenere la stessa tecnica che si è precedentemente applicata?
Spero di essere stato chiaro. La ringrazio della sua disponibilità
Un ricordo nella preghiera
don Giancarlo
Risposta del sacerdote
Caro don Giancarlo,
1. certamente per morte oggi non s’intende più la semplice cessazione del respiro. Con l’applicazione di pratiche di rianimazione molti si riprendono.
La stessa cosa vale anche per la cessazione del battito cardiaco.
2. Tutto questo ha portato a definire la morte in maniera più esatta. Oggi in genere si ritiene che la morte consista nell’arresto della funzione elettrica del cervello, riscontrabile attraverso il segnale piatto dell’elettroencefalogramma (EEG), insieme ad altri elementi congiunti (assenza assoluta del riflesso della luce, assenza totale di riflessi muscolari e tendinei; assenza di respirazione spontanea).
3. Ti poni poi una domanda: l’applicazione di tecniche particolari su una persona gravemente ammalata per aiutarla a continuare a vivere o a guarire (sondini, tracheotomia, ecc…) non rischia in seguito di procurare anche degli “effetti collaterali” con cui bisogna fare i conti?
Non è facile rispondere perché bisogna intendersi sul concetto di persona gravemente ammalata. Tanti sono gravemente ammalati (hanno un tumore) eppure continuano a svolgere bene il loro compito.
Fai accenno alla tracheotomia. Bisogna riconoscere che ha salvato tante persone. Ne conosco diverse, anche relativamente giovani, che continuano a fare tutti i loro doveri, pur essendo tracheotomizzate.
4. Mi parli di un rischio: quello di dover continuare con trattamenti speciali che somigliano ad un accanimento terapeutico.
Sì, indubbiamente c’è il rischio di prolungare in un futuro a lungo o medio termine delle sofferenze che diversamente sarebbero risparmiate.
A vantaggio dell’intervento però c’è una vita vissuta e donata a molti.
Inoltre l’amministrazione di ossigeno, di acqua e di cibo non si può configurare come accanimento terapeutico.
Ossigeno, acqua e cibo non sono terapie, ma cure ordinarie che si prestano a tutti e non vanno negate a nessuno.
5. Si dovrebbe anche mettere in conto il guadagno in termini umani che si è ricavato da una morte certa e anche dalle sofferenze previe, in presenza delle quali magari si avrebbe accettato in cambio qualsiasi altra cosa.
6. Per la precisione per accanimento terapeutico s’intende quell’insieme di iniziative clinico assistenziali di carattere piuttosto eccezionale che vengono attuate intorno a un malato terminale, cioè in condizioni gravissime e già piuttosto prossimo alla fine. Lo scopo, nelle intenzioni dei sanitari, è la volontà di rallentare a ogni costo l’approssimarsi della fine, pur sapendo che ormai non dispongono più di vere terapie, capaci di migliorare le condizioni sanitarie o di bloccare il male.
Si tratta di un’ostinazione «futile» a proseguire terapie, che si sono dimostrate inutili o sproporzionatamente gravose per il malato, per il fatto che non migliorano la sua condizione né impediscono la morte per un tempo ragionevole, e, anzi, di un’ostinazione dannosa per il paziente che viene inutilmente sottoposto a gravi sofferenze.
Ti ringrazio del ricordo nella preghiera che contraccambio volentieri.
Ti saluto in Domino.
Padre Angelo