Questo articolo è disponibile anche in:
Italiano
Quesito
Gent.le Padre Angelo,
volevo porle un quesito che mi deriva dal vedere mia nonna immobilizzata a letto a causa di un ictus. Pur capendo quasi come prima (ha qualche perdita di lucidità saltuariamente) non muove più il corpo e vive alimentata tramite sondino nasale. La domanda cui non riesco a rispondere definitivamente è fino a che punto sia giusto prolungare la vita di una persona, quando, se ciò fosse avvenuto cent’anni fa, non sarebbe stato scientificamente possibile. Non voglio assolutamente mettere in dubbio la giustizia della condanna dell’eutanasia, attiva e passiva parimenti; mi interrogavo più nello specifico circa il confine tra eutanasia passiva ed accanimento terapeutico. Alimentare una persona tramite sondino o in maniera equivalente (e a tempo indeterminato) è in sostanza accanimento terapeutico?
Se un giorno la scienza riuscisse a prolungare la vita delle persone anziane, fino a che punto il non utilizzo di questa nuova conoscenza sarebbe condannabile come eutanasia?
A volte la ragione e il cuore non riescono facilmente a conciliarsi e, in questi casi, quale seguire mi risulta essere il quesito più ostico.
La ringrazio anticipatamente per la risposta e per il lavoro prezioso che svolge per tutti.
Federico
Risposta del sacerdote
Caro Federico,
1. grazie a Dio la medicina ha fatto molti progressi e si riesce non solo a prolungare la vita ma anche ad essere attivi e talvolta molto attivi pur giungendo alla cosiddetta terza età.
2. Nutrire una persona non è una cura in senso stretto. È una necessità per poter restare in vita.
Nutrire con cibi solidi o con un sondino non cambia sostanzialmente la cosa.
Quante persone in fase operatoria o post operatoria per un determinato tempo vengono nutrite con sondino.
Pertanto aiutare una persona a nutrirsi e a respirare è sempre un dovere, anzi un primario dovere.
La stessa cosa va detta anche per la respirazione e per l’idratazione.
3. Ci si può chiedere se questo valga anche quando una persona è in coma irreversibile.
Secondo una sentenza della Congregazione per la dottrina della fede sì.
Ecco che cosa ha detto questa Congregazione in data 1.8.2007 rispondendo a due quesiti:
“Primo quesito: È moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per vie naturali oppure artificiali) al paziente in “stato vegetativo”, a meno che questi alimenti non possano essere assimilati dal corpo del paziente oppure non gli possano essere somministrati senza causare un rilevante disagio fisico?
Risposta: Sì. La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all’inanizione e alla disidratazione.
Secondo quesito: Se il nutrimento e l’idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in “stato vegetativo permanente”, possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza?
Risposta: No. Un paziente in “stato vegetativo permanente” è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali».
Altro discorso invece se si tratta di pazienti nei quali le prestazioni sono inutili perché sarebbe già in atto la morte cerebrale. Qui, secondo i vescovi della Pennsylvania, “l’omissione di nutrizione e idratazione artificiale può essere moralmente giustificata. Ciò che aiuta a cogliere la specie morale oggettivamente differente tra questo comportamento e un’eutanasia passiva è che in tal modo non si vuol porre fine alla vita del paziente, ma ci si astiene da qualcosa che è diventato inutile o troppo penoso applicare. Il giudizio di “inutilità” o “eccessiva penosità” riguarda il mezzo applicato e non la vita del paziente” (12.12.1991).
4. Nutrire, ventilare e idratare una persona è sempre dunque doveroso fino a quando l’organismo del paziente non rifiuta questo soccorso.
Né si può parlare di accanimento terapeutico perché qui non si somministra alcuna terapia.
5. Per accanimento terapeutico s’intende infatti quell’insieme di iniziative clinico assistenziali di carattere piuttosto eccezionale che vengono attuate intorno a un malato terminale, cioè in condizioni gravissime e già piuttosto prossimo alla fine. Lo scopo, nelle intenzioni dei sanitari, è la volontà di rallentare a ogni costo l’approssimarsi della fine, pur sapendo che ormai non dispongono più di vere terapie, capaci di migliorare le condizioni sanitarie o di bloccare il male.
Si tratta di un’ostinazione «futile» a proseguire terapie, che si sono dimostrate inutili o sproporzionatamente gravose per il malato, per il fatto che non migliorano la sua condizione né impediscono la morte per un tempo ragionevole, e, anzi, di un’ostinazione dannosa per il paziente che viene inutilmente sottoposto a gravi sofferenze.
6. È vero che fino a cent’anni fa, ma anche molto meno, molti anziani morivano prima perché la medicina e la tecnica erano meno evolute.
Ma anche la vita media delle persone era più breve.
Allora come non è lecito far morire le persone anziane sane per il solo fatto che una volta si moriva prima, così ugualmente non è lecito far morire le persone anziane fragili e malate.
7. Purtroppo oggi si è contagiati da una mentalità utilitarista ed edonista e si è portati a pensare che quando non si è più utili o non c’è più da godere sia meglio morire e far morire.
In realtà anche in condizione precarie ogni persona ha ancora tante cose da fare.
Si pensi ad esempio alla bella testimonianza del sacerdote morto a Genova il 31 maggio per SLA. Negli ultimi tempi non poteva neanche più parlare. Comunicava digitando sul PC. Una delle espressioni più belle è stata questa: “non credevo che si potesse amare così tanto e così in profondità stando da questa parte” (quella della sofferenza).
8. C’è dunque un problema di fondo che dovrebbe accompagnare la discussione sull’eutanasia. Ed è quello del senso della vita.
Urge riscoprirlo da parte di tutti.
E non solo per morire dignitosamente, ma anzitutto per vivere in pienezza e in profondità ogni fase della vita.
Ti ringrazio per il quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo