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Quesito
Caro Padre Angelo
Cosa fare quando si cade in peccato mortale? La risposta è ovvia, confessarsi. Ma il punto è che spesso, pur formulando ben chiara l’intenzione di confessarsi, non c’è possibilità di farlo subito e nel frattempo passa qualche giorno. Ora io non so mai come comportarmi in quel lasso di tempo, soprattutto per quel che riguarda la preghiera. Ho notato che, commettendo un peccato contro i dieci comandamenti, se prima provavo paura per l’inferno, ora sono molto più preoccupato del mio rapporto con Dio, del fatto, per esempio, di non poter pregare bene. Da tempo ho preso l’abitudine di recitare il rosario quotidianamente. Tento anzi di recitarlo completo, dunque con quattro corone: non sempre ci riesco, ma cerco di non recitare mai meno di due corone, anche perché, lavorando e avendo spesso tempo limitato, purtroppo qualche corona tocca recitarla magari in macchina, o nei momenti morti. Ora, posso continuare a recitare il rosario quando cado in peccato o devo per forza prima confessarmi? Lo chiedo perché ho letto sul trattato della Vera Devozione a Maria del Monfort che il rosario va recitato in grazia. Ecco io non sono un sentimentalista o una persona particolarmente sensibile: non sono di quelli che quando pregano si sentono al settimo cielo, di solito mantengo un atteggiamento normale. Però, cadendo in peccato, mi pesa molto non pregare il rosario fino alla confessione. Si può dire che sia la più pesante delle conseguenze, perché segna come l’interruzione sensibile dei rapporti con Dio, anche se inizio ogni mia preghiera con l’atto di dolore. È come se offrissi alla Madonna, e per suo tramite a Dio, una preghiera sporca, è come se le mancassi di rispetto. Dunque le ripropongo la domanda: posso pregare il rosario quando ho peccato contro i dieci comandamenti, è sufficiente recitare un atto di dolore? Oppure devo aspettare di confessarmi, come per la comunione?
Grazie infinitamente per la risposta e per questo sito.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. considerando che il peccato mortale fa perdere la Grazia santificante, le virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo, che costituiscono un tesoro veramente divino, infinitamente superiore a tutte le ricchezze materiali di questo mondo e, con essa, la perdita della presenza amorosa della SS. Trinità nell’anima;
considerando che col peccato mortale si perdono tutti i meriti della vita passata: “Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà” (Ez 18, 24);
considerando che col peccato mortale ci si mette sotto il potere del diavolo perché ci si priva della grazia santificante che è come un muro di protezione o una siepe che difende;
considerando che col peccato mortale le forze dell’anima vengono debilitate perché “col peccato la ragione si offusca, specialmente nel campo pratico; la volontà diviene restia al bene; cresce l’interna difficoltà a ben operare; e la concupiscenza si accende” (San Tommaso, Somma teologica, I-II, 85, 3);
considerando che dallo stato di peccato nessuno può uscire con le sue sole forze perché “chi cade volontariamente in peccato mortale si pone in uno stato dal quale non può sottrarsi senza l’aiuto di Dio” (San Tommaso, In IV Sent., d. 46, q. 1, a. 3, sol.);
considerando che col peccato mortale ci si rende schiavi del peccato perché “chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34);
considerando infine che col peccato mortale ci autodestina alla pena eterna perché “se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili” (CCC 1861);
la prima cosa da fare qualora ci si scoprisse in peccato mortale è quella di invocare da Dio la grazia del pentimento e di domandare perdono a Dio:
Mio Dio mi pento e mi dolgo con tutto il cuore del mio peccato perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso te infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa…
Questa invocazione è come un riaprire le finestre della nostra vita alla grazia che nuovamente viene ad invadere la nostra anima e ci ristabilisce nell’amicizia con Dio ancor prima della confessione.
Non senza però la volontà di confessarsi.
2. Questa contrizione viene detta perfetta perché è motivata dal dispiacere di aver provocato la morte del Signore e di averlo nuovamente crocifisso nella nostra vita (Eb 6,6).
Non è pertanto sufficiente il dolore che si prova per essersi esposti al potere del diavolo e per il timore di finire all’inferno.
Questo dolore è certamente salutare, ma è ancora imperfetto perché è dominato dall’amore di sé.
3. Il Magistero della Chiesa con il Concilio di Trento ha ricordato che la contrizione perfetta “riconcilia l’uomo con Dio già prima che questo sacramento sia realmente ricevuto.
Tuttavia questa riconciliazione non è da attribuirsi alla contrizione in se stessa senza il proposito, incluso in essa, di ricevere il sacramento” (DS 1677).
Pertanto si può tornare subito in grazia ancor prima della confessione.
4. Questa contrizione può essere espressa con l’atto di dolore sopra riportato oppure anche mettendosi in preghiera.
5. La necessità di questa contrizione e di tornare subito in grazia è richiesta per i seguenti motivi:
1- perché la permanenza volontaria nel peccato mortale, soprattutto se molto lunga, manifesta un certo disprezzo per Dio, poiché si stima di poco conto vivere in amicizia con Dio. E questo, di suo, è già un gravissimo peccato. Dice S. Paolo: “O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere” (Rm 2,4-6).
2- per il pericolo di perdersi eternamente con una morte improvvisa.
La S. Scrittura mette ripetutamente in guardia da questa possibilità quando esorta: “Non aspettare a convertirti al Signore, e non rimandare di giorno in giorno, perché improvvisa scoppierà l’ira del Signore e al tempo del castigo sarai annientato” (Sir 5,8-9); “Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,13); “Anche voi tenetevi pronti perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate” (Lc 12,40).
3- perché tutte le opere buone compiute senza la grazia di Dio sono inutili per la vita eterna, non possedendo alcun merito soprannaturale.
Rimangono buone, ma sono morte sotto il profilo del merito.
Gesù ha detto chiaramente: “Chi non raccoglie con me, disperde” (Mt 12,30).
4- perché è quasi impossibile rimanere qualche tempo in peccato mortale senza cadere in nuovi peccati, che offendono Dio e peggiorano la già deplorevole situazione del peccatore.
Dice San Gregorio Magno: “Il peccato non riparato subito con la penitenza, col suo peso trascina ad altri peccati” (In Ezechielis homilia, 11).
6. Per tutti questi motivi è convenientissimo che ci si rialzi subito dal peccato e ci si penta il più presto possibile.
Questo pentimento poi risulta necessario se il peccatore viene a trovarsi in punto di morte, in pericolo prossimo di perdere permanentemente l’uso di ragione, nella necessità di ricevere o amministrare un sacramento dei vivi, quando si avverte chiaramente che è impossibile evitare il peccato senza essersi pentiti del peccato precedente.
7. È chiaro che pur tornati in grazia col pentimento e con il proposito della confessione nel frattempo non si può ancora fare la Santa Comunione.
Il perdono è stato concesso, ma da parte del soggetto non è ancora avvenuta la riparazione.
Questa sarà attuata nella confessione e nel momento in cui il Sacerdote dice: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”.
È il momento in cui ci si riconcilia con Cristo e con la Chiesa.
Con l’augurio che tu non ti debba mai a trovarti in peccato mortale neanche per un istante, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo