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Quesito

Caro Padre Angelo,
sono spesso invidioso degli altri.
E’ un sentimento cattivo che mi allontana dagli altri e mi fa stare male.
Le chiedo un consiglio su come superare questo vizio dell’invidia. Lo confesso al sacerdote da diverso tempo, ma non riesco a liberarmene.
Inoltre le chiedo come comportarmi con le persone che invidio: so che devo essere buono con loro, e cerco di esserlo, ma allo stesso tempo ho paura di essere falso con loro.
Grazie per tutto quello che fa, ho letto altre sue risposte e mi sono state molto utili.
Prego per lei.
Francesco


Risposta del sacerdote

Caro Francesco,
1. a scanso di equivoci per alcuni nostri visitatori, per invidia non s’intende desiderare ciò che hanno gli altri.
Fin qui, di per sé, non c’è nulla di male.
Se poi si trattasse di desiderare la santità, la scienza o la competenza degli altri chi oserebbe dire che si tratta di un male, di un peccato?

2. Per invidia, invece, come vizio capitale, s’intende una certa tristezza per il bene altrui.
Si desidererebbe che l’altro non avesse quel bene o quella dote perché questo impedisce a noi di emergere o di fare bella figura.
Come si vede, l’invidia è intimamente imparentata con la superbia.

3. Va detto con tutta onestà che per lo meno a tentazioni di invidia sono sottoposti un po’ tutti.
È una conseguenza della nostra inclinazione al male, dovuta al peccato originale.
Pertanto si tratta di un discorso che tocca tutti da vicino, chi più e chi meno.

4. Dal momento che l’invidia è una certa tristezza del bene altrui va superata come si supera ogni altra tristezza.
Dio stesso per bocca di Giacomo ce ne insegna la strada.
Ecco dunque che cosa dice quest’apostolo: “Qualcuno di voi è triste? Preghi!” (Gc 5,13).
La traduzione attuale della CEI ha tolto il “triste” e traduce: “Chi tra voi è nel dolore, preghi”.
La versione della Volgata è bella ed è esplicita: “Tristatur aliquis vestrum? Oret”.

5. Perché l’invito a pregare?
Perché la preghiera aiuta il nostro cuore ad essere conforme con il cuore di Dio.
Man mano che si va avanti nel pregare, si comincia ad amare il nostro prossimo con il cuore di Dio e a compiacersi dei beni che il Signore gli ha dato.
E così se ne va l’invidia, lasciando al suo posto la vera carità che si compiace del bene altrui.
Per questo San Paolo dice che “la carità non è invidiosa” (1Cor 13,4) ma “ma si compiace della verità” (1 Cor 13,6).

6. A questo punto mi pare opportuno riportare quanto dice il padre Alfonso Rodriguez, grande autore spirituale della Compagnia di Gesù:
“Cassiano dice che ottimo rimedio contro qualsiasi genere di tristezza, qualunque sia la sua provenienza o la sua causa, è rifugiarsi nell’orazione e raccogliere il pensiero in Dio e nella speranza della vita eterna che ci ha promesso; si diradano così tutte le nuvole e fugge lo spirito di tristezza, come quando Davide cantava suonando la cetra e lo spirito maligno si allontanava da Saul.
Ce lo suggerisce l’apostolo S. Giacomo nella sua lettera canonica: Qualcuno di voi è triste? Preghi! (5,13).
Il Profeta Davide ci assicura che egli lo usava: “L’anima mia non volle esser consolata. Mi ricordai di Dio e fui pieno di gioia” (Sal 76,4, Volgata).
Il pensare, Signore, a te e ai tuoi comandamenti, e alle tue promesse, è per me come un canto di gioia; questo mi conforta e rallegra nel mio esilio e nel mio pellegrinaggio, in tutte le mie pene e nel mio abbandono.
Se talvolta basta la conversazione di un amico per farci perdere la malinconia e rallegrarci, che non sarà la conversazione con Dio?
Pertanto il servo di Dio e il buon religioso non devono cercare il rimedio alle loro tristezze nel parlare, nel distrarsi, nel leggere cose vane e profane, e neppure nel cantarle, ma nel rifugiarsi in Dio e raccogliersi nella preghiera: ecco quale deve essere il loro conforto”.

7. Il padre Rodriguez prosegue dicendo: “I santi meditano il racconto della Sacra Scrittura: dopo il diluvio, passati quaranta giorni, Noè aprì la finestra dell’arca e inviò il corvo per vedere se la terra era asciutta, in modo da poter sbarcare; il corvo non tornò; mandò allora la colomba che, dice la Sacra Scrittura, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò da lui nell’arca (Gn 8,9).
I santi si domandano: Poiché il corvo non tornò è evidente che trovò dove posare la pianta del piede; e allora perché la Scrittura dice che la colomba non trovò dove posarla? La risposta è che il corvo si posò sulle immondizie e sui cadaveri, mentre la colomba, semplice bianca e bella, non cibandosi di cadaveri, non posandosi sulle immondizie, tornò indietro, perché non trovò dove posare la pianta del piede, non trovò dove riposare.
Proprio allo stesso modo il vero servo di Dio e il buon religioso non trovano contentezza né modo di ricrearsi tra quelle cose morte, nei vani trattenimenti del mondo, e tornano, come la colombella, all’arca del cuore; il loro riposo e conforto in tutte le loro fatiche e tristezze sta nel ricorrere all’orazione ricordarsi di Dio, passare un momento dinanzi al Santissimo Sacramento, consolandosi con Cristo, dandogli conto dei propri affanni e concludendo: Come potrei, Signore, esser triste, in casa tua e in tua compagnia?”.

8. E conclude: “Commentando queste parole del regale Profeta: “Hai messo più gioia nel mio cuore”(Sal 4,7) S. Agostino nota: Il Profeta qui c’insegna a non cercare l’allegria che viene dalle cose esteriori, ma la gioia che sgorga dall’intimo dalla cella segreta del cuore, nella quale Cristo nostro Redentore dice che dobbiamo pregare il Padre eterno.
Sulpizio Severo racconta di S. Martino vescovo che sollievo alle sue fatiche era la preghiera.
Come i fabbri per alleviare la loro fatica danno sull’incudine alcuni colpi a vuoto, egli, quando era stanco, pregava.
Di un altro servo di Dio si racconta che, mentre stava in cella con l’anima piena di tristezza ed incredibile afflizione, con la quale Dio in certi tempi era solito visitarlo, udì nell’intimo una voce che gli disse: Che fai qui ozioso, consumandoti invano? Alzati, e mettiti a meditare la mia passione!
Si alzò immediatamente e si mise a meditare i misteri della passione di Cristo; subito si dileguò la tristezza e si sentì consolato e rianimato, e continuando in quella pratica non provò mai più quella tentazione” (Alfonso Rodriguez, Esercizio di perfezione, p. 1003-1104).

9. Non è solo con la preghiera che si vince l’invidia. Ma questo è il primo e insostituibile passo.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ne indica un altro quando dice: “L’invidia spesso è causata dall’orgoglio; il battezzato si impegnerà a vivere nell’umiltà” (CCC 2540).
È un bel monito per noi il bene di cui godono gli altri: giova a tenerci in umiltà e a ricordarci quello che siamo davanti al Signore.

10. S. Giovanni Crisostomo propone un terzo rimedio: “Vorreste vedere Dio glorificato da voi?
Ebbene, rallegratevi del progresso del vostro fratello, ed ecco che Dio sarà glorificato da voi.
Dio sarà lodato – si dirà – dalla vittoria sull’invidia riportata dal suo servo, che ha saputo fare dei meriti altrui il motivo della propria gioia” (Homilia ad Romanos, 7, 3).

11. Pertanto tre sono le risorse che ti vengono offerte nei confronti delle persone verso cui provi invidia: la preghiera, l’esercizio dell’umiltà e il compiacimento per i doni che hanno avuto da Dio.

Con l’augurio di fare grandi passi in questo bel combattimento, ti assicuro il mio ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo


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