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Quesito
Caro Padre Angelo,
scusi la banalità della domanda volevo chiederLe se fare la volontà del Padre Nostro significa accettare la sofferenza, qualsiasi sia la sua fonte in quanto essa nasce sempre da qualche cosa di corrotto dal peccato.
Molti pensano che Dio ci mandi per esempio delle malattie per metterci alla prova, ma la malattia è una conseguenza del peccato originale e in quanto tale non può assolutamente provenire da Dio (Gesù è venuto anche a guarire il corpo).
Piuttosto il modo in cui noi reagiamo alla malattia è la prova che Lui ci chiede. Grazie di chiarirmi se quanto penso è corretto.
Buona giornata
Laura
Risposta del sacerdote
Cara Laura,
1. la malattia non è voluta dal Signore perché è un male. È solo permessa, tollerata, perché possa servire ad un bene più grande.
Proprio perché è un male dobbiamo far di tutto per eliminarla.
In “Salvifici doloris”, Giovanni Paolo II ha detto che “il Vangelo è la negazione della passività di fronte alla sofferenza. Cristo stesso in questo campo è soprattutto attivo” (SD 30).
Gesù infatti si è presentato come medico dei corpi e delle anime.
2. L’espressione “Dio manda una malattia” è impropria.
Il Libro di Giobbe ricorda che certe malattie hanno origine dal maligno e Dio lo permette per motivi più alti.
3. La volontà di Dio che dobbiamo compiere quando siamo malati è questa:
– anzitutto dobbiamo curarci, perché la salute è un bene prezioso per noi e per gli altri;
– finché persiste la malattia dobbiamo trasformala in atto di amore e di riparazione davanti a Dio in unione con le sofferenze di Cristo.
Nell’enciclica menzionata, Giovanni Paolo II dice che “la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore…
Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (SD 30).
4. Io non direi che il Signore permette le malattie per metterci alla prova.
Direi piuttosto che Dio le permette perché ingrandiamo la nostra capacità di amare e per farci portare frutto.
Non dobbiamo dimenticare che Gesù ha detto: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo… ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,1-2).
Non dev’essere tempo perso neanche quello in cui siamo impediti nel fare il nostro dovere quotidiano a causa della malattia.
5. La Chiesa ha sempre insegnato che è un dovere per ogni persona malata curarsi con tutti i mezzi proporzionati.
In tal senso si è espresso Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae: “Si dà certamente l’obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte” (EV 65).
Ti ringrazio di avermi portato su un terreno nel quale tutti, prima o poi e per più o minore tempo, siamo chiamati a dimorare.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo