Questo articolo è disponibile anche in: Italiano

Quesito

Caro Padre Angelo,
vorrei sapere come la Chiesa vede la figura della donna, quali sono i suoi compiti sociali e, se è vero che deve occuparsi solo delle "questioni di casa", senza realizzarsi come persona e quindi, avere un lavoro pur essendo madre.
Grazie e cordiali saluti
Alessandro


Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. Papa Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris (siamo nel 1963) afferma che tre segni caratterizzano l’epoca moderna: l’ascesa economico-sociali delle classi lavoratrici, l’ingresso della donna nella vita pubblica, la trasformazione della famiglia umana.
A proposito della donna scrive: “In secondo luogo viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, in seno alle altre tradizioni e civiltà.
Nella donna infatti diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non permettere di essere considerata e trattata come istrumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica” (PT18).
Se questo era vero ai tempi di Giovanni XXIII, lo è ancor più oggi.
La società viene arricchita dallo specifico apporto della donna in tutti i settori.

2. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Laborem exercens (1981) senza nulla togliere a quanto la donna può dare alla società col suo “genio femminile”, tuttavia vuole mettere in risalto il ruolo della maternità e anche la necessità che la società sostenga questo compito in tutte le maniere.
Aveva ipotizzato anche il salario alle casalinghe.
Ecco che cosa dice: “L’esperienza conferma che bisogna adoperarsi per la rivalutazione sociale dei compiti materni, della fatica ad essi unita e del bisogno che i figli hanno di cura, di amore e di affetto per potersi sviluppare come persone responsabili, moralmente e religiosamente mature e psicologicamente equilibrate.
Tornerà ad onore della società rendere possibile alla madre – senza ostacolarne la libertà, senza discriminazione psicologica o pratica, senza penalizzazione nei confronti delle sue compagne – di dedicarsi alla cura e all’educazione dei figli secondo i bisogni differenziati della loro età.
L’abbandono forzato di tali impegni, per un guadagno retributivo fuori casa, è scorretto dal punto di vista del bene della società e della famiglia, quando contraddica o renda difficili tali scopi primari della missione materna.
In tale contesto si deve sottolineare che, in via più generale, occorre organizzare e adattare tutto il processo lavorativo in modo che vengano rispettate le esigenze della persona e le sue forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, tenendo conto dell’età e del sesso di ciascuno. È un fatto che in molte società le donne lavorano in quasi tutti i settori della vita. Conviene, però, che esse possano svolgere pienamente le loro funzioni secondo l’indole ad esse propria, senza discriminazioni e senza esclusioni da impieghi dei quali sono capaci, ma anche senza venir meno al rispetto per le loro aspirazioni familiari e per i ruolo specifico che ad esse compete nel contribuire al bene della società insieme con l’uomo. La vera promozione della donna esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l’abbandono della propria specificità e a danno della famiglia, della quale ha come madre un ruolo insostituibile” (LE 19c).

3. Sempre Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio ritorna sull’argomento e scrive:  “Se dev’essere riconosciuto anche alle donne, come agli uomini, il diritto di accedere ai diversi compiti pubblici, la società deve però strutturarsi in maniera tale che le spose e le madri non siano difatto costrette a lavorare fuori casa e che le loro famiglie possano dignitosamente vivere e prosperare, anche se esse si dedicano totalmente alla propria famiglia.
Si deve inoltre superare la mentalità secondo la quale l’onore della donna deriva più dal lavoro esterno che dall’attività familiare. Ma ciò esige che gli uomini stimino ed amino veramente la donna con ogni rispetto della sua dignità personale, e che la società crei e sviluppi le condizioni adatte per il lavoro domestico. La Chiesa, col dovuto rispetto per la diversa vocazione dell’uomo e della donna, deve promuovere nella misura del possibile nella sua stessa vita la loro uguaglianza di diritti e di dignità: e questo per il bene di tutti, della famiglia, della società e della Chiesa.
È evidente però che tutto questo significa per la donna non la rinuncia alla sua femminilità né l’imitazione del carattere maschile, ma la pienezza della vera umanità femminile quale deve esprimersi nel suo agire, sia in famiglia sia al di fuori di essa, senza peraltro dimenticare in questo campo la varietà dei costumi e delle culture” (FC 23).

4. Il 31.7.2004 la Congregazione per la dottrina della fede ha inviato una lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo.
La lettera della Congregazione mette in risalto le peculiarità della donna in quanto donna, anzi, il genio della donna, come l’ha chiamato Giovanni Paolo II.
Tra i valori fondamentali della donna vi è anzitutto “la sua capacità dell’altro”.
Sebbene un certo femminismo presenti un ideale femminile che si emancipa in ordine a se stesso, “la donna conserva l’intuizione profonda che il meglio della sua vita è fatto di attività orientate al risveglio dell’altro, alla sua crescita, alla sua protezione.
Questa intuizione è collegata alla sua capacità fisica di dare la vita. Vissuta o potenziale, tale capacità è una realtà che struttura la personalità femminile in profondità. Le consente di acquisire molto presto maturità, senso della gravità della vita e delle responsabilità che essa implica. Sviluppa in lei il senso ed il rispetto del concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli individui e della società. È essa, infine, che, anche nelle situazioni più disperate – e la storia passata e presente ne è testimone – possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso tenace del futuro e, da ultimo, di ricordare con le lacrime il prezzo di ogni vita umana”.

5. E continua: “Sebbene la maternità sia un elemento chiave dell’identità femminile, “ciò non autorizza affatto a considerare la donna soltanto sotto il profilo della procreazione biologica”. Il cristianesimo, proprio attraverso l’ideale della verginità per il regno dei cieli (vocazione audace rispetto alla tradizione antico-testamentaria e alle esigenze di molte società umane) “contesta radicalmente ogni pretesa di rinchiudere le donne in un destino che sarebbe semplicemente biologico”.
La donna, in famiglia innanzitutto, in quanto “società primordiale e, in un certo senso, sovrana”, ha il suo ruolo insostituibile per quanto concerne “le relazioni umane e la cura dell’altro”. Infatti “ogni volta che vengono a mancare queste esperienze fondanti, è l’insieme della società che soffre violenza e diventa, a sua volta, generatrice di molteplici violenze”.

6. Ma il genio della donna esige che essa sia presente nel mondo del lavoro, dell’organizzazione sociale e che possa aver accesso tutti i posti di responsabilità per ispirare le politiche delle nazioni e promuovere soluzioni innovative ai problemi economici e sociali.
“L’intreccio delle due attività – la famiglia e il lavoro – assuma, nel caso della donna, caratteristiche diverse da quelle dell’uomo.
Si pone pertanto il problema di armonizzare la legislazione e l’organizzazione del lavoro con le esigenze della missione della donna all’interno della famiglia. Il problema non è solo giuridico, economico ed organizzativo; è innanzitutto un problema di mentalità, di cultura e di rispetto. Si richiede, infatti, una giusta valorizzazione del lavoro svolto dalla donna nella famiglia.
In tal modo le donne che liberamente lo desiderano potranno dedicare la totalità del loro tempo al lavoro domestico, senza essere socialmente stigmatizzate ed economicamente penalizzate, mentre quelle che desiderano svolgere anche altri lavori potranno farlo con orari adeguati, senza essere messe di fronte all’alternativa di mortificare la loro vita familiare oppure di subire una situazione abituale di stress che non favorisce né l’equilibrio personale né l’armonia familiare” (n. 13).

Ecco che cosa pensa la Chiesa in alcuni suoi documenti recenti.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo