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Quesito

Reverendo Padre Angelo,
ho scoperto da poco il sito amicidomenicani.it, e ho trovato di grande utilità le Sue risposte, che sono sempre esaustive e convincenti. 
Per questo ho pensato di scriverLe per sottoporle alcune questioni in merito al celibato sacerdotale sorte durante una discussione con un mio compagno di studi. 
Riguardo alla condizione sacerdotale egli affermava che il celibato è contrario alla natura umana la quale, derivando da Dio, va seguita e assecondata. Da ciò deriva che, essendo l’impulso sessuale parte di questa natura, è sbagliato e addirittura deleterio eliminarlo dalla propria vita. Io ho obiettato che la sessualità è sì un dono di Dio, ma alcuni, chiamati a farsi "eunuchi per il regno dei cieli", la sacrificano per dedicarsi completamente a Lui. Il mio amico ha allora ribattuto che rinunciare a un dono non può che causare dispiacere a chi lo ha fatto. In effetti, affermava, un padre sarebbe forse contento se il figlio rifiutasse di usare la bicicletta ricevuta in regalo per passare più tempo con lui? Di fronte a queste affermazioni non sono riuscito a ribattere in maniera abbastanza convincente da fargli cambiare idea. Dunque Le chiedo, quali altri argomenti posso proporre per difendere la mia tesi?
La ringrazio sin d’ora per l’attenzione che vorrà dedicarmi.
Paolo

Risposta del sacerdote

Caro Paolo,
1. l’impulso sessuale nella persona umana ha una ricchezza immensamente superiore a quella che si può trovare nei settori inferiori di vita.
Negli animali l’impulso sessuale è legato all’istinto: in determinati periodi è a riposo; in altri invece è incontenibile.
Nella persona umana, come ha giustamente osservato J. Guitton, l’impulso sessuale sembra essere sganciato dall’istinto e messo a servizio della ragione.
Per questo la persona umana rimane tanto tempo senza esercizio biologico della sessualità.
Per lei non si tratta di scaricare qualcosa, ma di trovare anzitutto una persona che le sia come un’anima gemella, con la quale desidera condividere i propri pensieri, i sentimenti, i desideri, la totalità della vita.

2. Se mi permetti un esempio: ad un cane che è in preda ai propri istinti sessuali non interessa quale cagna incontrare per soddisfare i propri bisogni. È sufficiente che sia un animale della stessa specie di sesso diverso.
Non è così per la persona umana. La sessualità per lei è un impulso, un richiamo, un’attrazione, ma non un istinto.
Prima di unirsi sessualmente vuole verificare se è in grado di accogliere il dono di se stessa. E sarà in grado di accogliere il dono solo se sarà disposta a fare dono totale ed esclusivo di se stessa alla persona amata.
Per questo non è innaturale che un giovane o una ragazza rimangano vergini fino al matrimonio. Anzi, è la via più “umana”.
Rimanere vergini fino alle nozze non è andare contro una legge di natura, ma è la legge della natura della persona umana.

3. Il tuo amico ha asserito che il celibato “è contrario alla natura umana la quale, derivando da Dio, va seguita e assecondata e la verginità”.
Ti rispondo: se si trattasse di un celibato che è chiusura all’amore, che è sinonimo di egoismo, ti do ragione.
Ma se il celibato viene assunto per amare e farsi dono in maniera ancora più grande, allora il tuo amico sbaglia.
Il celibato dei preti non è il celibato di chi ha rinunciato alla sessualità, ma di chi vuole vivere la sessualità in maniera ancora più alta e più ampia.

4. Il più bell’esempio ce l’abbiamo in Cristo, il quale è vergine e nello stesso tempo è “lo Sposo”. Sottolineo: non è uno sposo, ma “lo Sposo”.
Come sai, Cristo si è definito così in Mt 9,15: “«Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo Sposo è con loro?”.
Gesù Cristo è il Nuovo Adamo e l’uomo perfetto che realizza compiutamente la sua sponsalità secondo una via diversa da quella indicata nella creazione (il matrimonio).
Se la sessualità indica l’apertura della propria persona verso gli altri con un amore così oblativo da risultare fecondo, chi più di Gesù Cristo è stato aperto a tutti gli uomini e ad ogni uomo, e con un amore così generoso da generare, attraverso l’azione del suo Spirito, dei nuovi figli al Padre?
Si tratta certo di una paternità soprannaturale, ma non per questo meno reale di quella fisica.
Anzi, la paternità fisica è solo un segno, una derivazione o partecipazione della paternità vera, quella di Dio, che si è pienamente manifestata in Cristo (cfr. Ef 3,14-15).

5. Dopo Gesù, fin dall’inizio della Chiesa, ci sono stati uomini e donne che hanno vissuto e realizzato la propria sessualità percorrendo la sua medesima strada.
Vivono la dedizione totale di sé per Lui e ricevono il Suo amore che è senza misura.
Vivono un senso di pienezza interiore che è inimmaginabile. Lo si comprende solo se lo si considera come un anticipo della comunione di vita eterna del Paradiso.
E questa vicendevole dedizione è all’origine di una paternità nuova, quella di cui parla il Signore quando dice: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29).
Non è stata questa – solo per fare un esempio – l’esperienza di Madre Teresa di Calcutta? Quanti fratelli e sorelle nella sua congregazione! Quanti figli e figlie di Dio ha generato insieme con Cristo con la sua vita di amore, di preghiera, di dedizione, di sacrificio?

6. In questa prospettiva l’ultima domanda che ti ha posto l’amico riceve un senso diverso: non sarebbe un’ingiuria per lo Sposo (Gesù Cristo) rinunciare alla vocazione, e cioè alla chiamata di vivere la sessualità ad un livello più alto e più soprannaturale, che già anticipa la condizione della vita futura?

Ti saluto e ti auguro ogni bene.
Soprattutto ti assicuro un ricordo al Signore perché se ti chiama a vivere la tua sessualità ad un livello più alto e più appagante sia pronto rispondere perché chi ti gratifica di tale chiamata non rimanga offeso.
Ti benedico.
Padre Angelo