Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Gentilissimo padre Angelo Bellon,
Le espongo una mia riflessione in merito al valore della famiglia e al pericolo strisciante che si nasconde dietro la convivenza.
Premetto per chi non condividerà quello che scrivo: non mi ritengo un bigotto, né un “oscurantista”. Non vivo, come nessuno dopotutto, fuori dal mondo, bensì NEL mondo, ben immerso, per varie ragioni, in realtà famigliari complesse e spesso dolorose.
Molto spesso si tende a considerare la convivenza al pari del matrimonio (anche di quello civile direi). Un po’ perché ci stiamo abituando a vedere sempre più convivenze, un po’ perché la società (ammettiamolo) mette più e più bastoni tra le ruote a chi si vuole sposare, spesso siamo portati a considerare la convivenza come una scelta non inferiore rispetto al vincolo matrimoniale.
Non è così, credetemi. C’è, a mio giudizio una profonda, abissale differenza tra un matrimonio ed una convivenza. Spiegarlo ricorrendo alla fede cristiana sarebbe troppo facile e devo dire che padre Angelo ha più volte ribadito il concetto. Vorrei provare a dare una motivazione anche laica alle mie affermazioni.
Emerge dai vari sondaggi realizzati da autorevoli istituti che una delle maggiori paure dei cittadini occidentali è quella di rimanere da soli: soli nelle difficoltà, soli nel dolore, soli nelle tribolazioni. Sembra che lo spauracchio della solitudine sia un comune denominatore per molti nostri concittadini.
Il matrimonio è una unione che non prevede rinunce: non si può dire:<
Purtroppo la paura di molti è proprio questa: di venir abbandonati e di restare dunque soli. Soli perché dopo un matrimonio non ci si può certo risposare. La paura che qualcosa vada male porta ad una scelta sbagliata: non sposarsi. Per assurdo, il riconoscimento stesso dell’indissolubilità del matrimonio porta alla paura che, se abbandonati, si possa restare soli.
La convivenza è un non-vincolo, una non-unione. Ci si sente sempre e comunque liberi di mandare tutto al diavolo se le cose non vanno bene e di ricominciare da un’altra parte. E’ un modo per auto-rassicurarsi di avere sempre e comunque le mani libere e di non avere obblighi particolari e indissolubili con qualcuno. Ma la convivenza ha in seno una profonda debolezza: l’instabilità! Se ci sono figli, questi non possono non risentire della fragilità della situazione. Se non ci sono figli, poco cambia! Il matrimonio è garanzia di reciproco sussidio, di reciproco amore, di reciproco aiuto. Per dirla in modo brutale “obbliga ad amarsi” anche quando magari ci sono delle difficoltà e così è garanzia di stabilità. La sicurezza che molti giovani cercano, la fuga dalla paura della solitudine si può risolvere solo donandosi l’uno all’altro per sempre, pronunciando un sì che da Dio viene reso indissolubile. Solo questo è il vero antidoto contro la solitudine, il dolore, l’abbandono.
Permettetemi un’altra riflessione “laica”: ma quanto è bello donarsi ad una persona che ha avuto la forza ed il coraggio, l’amore e la delicatezza di dirci un “SI’” irrinunciabile? Non è la cosa più bella del mondo poter vivere con chi non si tira in dietro davanti alle proprie responsabilità di coniuge e si prende l’impegno di amarci sempre e comunque? Solo così l’amore è davvero completo, solo così l’amore è piano e perfetto. Personalmente sarei molto triste se dovessi vivere con una persona che non ha la forza/coraggio/voglia di prendersi l’impegno di amarmi per sempre. Si tratta di costruire una famiglia, di allevare figli, non sono cose da poco! Se non c’è la garanzia e, permettetemi, l’obbligatorietà dell’indissolubilità…la nostra società crollerebbe.
Un caro saluto ed una preghiera
Risposta del sacerdote
Carissimo,
non posso che condividere in pieno le tue riflessioni.
Ti ringrazio vivamente.
Il Signore ti benedica.
Anch’io ti benedico con la promessa di ricambiare la gradita preghiera.
Padre Angelo