Questo articolo è disponibile anche in: Italiano

Quesito

Rev. mo Padre,
La disturbo ancora una volta per chiederLe un altro dei Suoi preziosissimi chiarimenti.
La tematica che Le propongo mi sta particolarmente a cuore, forse si tratta del “nucleo” delle mie personali riflessioni sul rapporto fra Dio e gli uomini.
Si tratta del tema del dolore.
Lei ha di recente fornito una illuminante risposta sullo stesso tema ad un frequentatore del sito, che è stata molto utile anche a me.
Tuttavia, vorrei rappresentarLe a mia volta le mie povere riflessioni ed i miei dubbi, assumendo un’ottica parzialmente differente rispetto a quella già propostaLe.

A me pare, in estrema semplificazione, che la nostra esistenza ci chiami a fare fronte a due “macro-tipologie” di dolore.

La prima è quella del dolore “per”: essa comprende tutte le fatiche, le paure, le sofferenze che siamo chiamati a vivere per raggiungere un obiettivo a noi stessi evidente e noto.
Penso alla fatica che occorre per laurearsi, alle rinunce che servono per far felice qualcun’altro, o anche a quanto ci si debba – alle volte – “consumare” d’amore per la propria fidanzata o per il proprio fidanzato.
Penso anche alle privazioni d’amore per Dio: il digiuno, la rinuncia ad un bene desiderato in favore di un gesto di carità, la preghiera che “prevale” sulla televisione…
“Questo” dolore può non turbare: è una forma di amore “attraverso” il dolore, che anche agli occhi umani – persino non illuminati dalla fede – può apparire riconducibile ad un “perchè”, sia pure immediato e “orizzontale”.

E’ invece la seconda categoria di dolori che spesso mi fa sorgere degli interrogativi, e con la quale “convivo” meno facilmente.
Si tratta delle sofferenze apparentemente insensate, perché – ad occhi umani – non finalizzate.
Sono tutti quei dolori che non costituiscono passaggio obbligato verso un obiettivo rappresentabile, ma che – al contrario – sembrano fornire soltanto una prospettiva di “auto-esaurimento”.
La malattia incurabile, lo strazio per la perdita di un proprio caro…questi patimenti non appaiono condurre all’amore, ma persino – nella loro portata totalizzante sotto il profilo esistenziale – opporvisi.

Se nella prima categoria di sofferenze posso cogliere una logica di amore “attraverso” il dolore, in questa seconda categoria posso tutt’al più percepire l’esigenza di un amore “nonostante” il dolore.

Mi piacerebbe, Rev. mo Padre, poter sapere da Lei, in primo luogo, se questa mia distinzione è accettabile o è – in radice – improponibile.

Se non si tratta di una distinzione del tutto campata in aria, Le chiedo: è sbagliato pensare che la missione di noi cristiani (anzi, di tutti gli uomini, secondo il progetto di Dio) sia proprio – in buona parte – quella dell’amare “nonostante”? Nonostante il dolore di ogni tipo, nonostante le sofferenze, nonostante i molteplici (ed apparentemente vincenti) modelli di vita alternativi…

Infine, ancor più in radice: con riguardo alle sofferenze ad occhi umani “non finalizzate”, trovo da parte mia già razionalmente “convincente” la spiegazione evangelica: Dio attende nel bruciare la gramigna, perché spera fino all’ultimo nella conversione del peccatore. Dio insomma – mi pare di capire – non distrugge il male (e il maligno, che è fonte di ogni sofferenza) perché, così facendo, distruggerebbe subito anche tutti coloro che hanno scelto di essere una cosa sola con il male, e che tuttavia potrebbero ancora, col tempo, redimersi e salvarsi.
Ma a questo punto provo a chiederLe: è davvero teologicamente impensabile che Dio, nella profondità del Suo Essere, in fondo speri di recuperare a Sè – prima della fine dei tempi – anche colui che è all’origine del male? Prevedo già la Sua risposta negativa, che è senz’altro quella giusta…ma Le confesso che alle volte mi faccio “suggestionare” dall’idea di un Dio che – chiamando noi uomini a vincere il dolore dall’interno, attraverso l’amore – possa ardentemente desiderare di usare la stessa “arma” con il maligno, che di ogni dolore è la fonte.

La ringrazio ancora una volta per la Sua preziosa presenza.
Le assicuro la mia povera preghiera.
Antonio


Risposta del sacerdote

Caro Antonio,
1. le tue riflessioni sono tutte degne di rispetto.
Le prime sono anche esatte e credo anch’io che si possa dire: “ho amato nonostante il dolore”.
Ma un cristiano dovrebbe giungere a poter dire: “il dolore ha ingrandito ancor di più il mio amore. A Dio ho donato tutto, sebbene mi costasse molto. Ma proprio perché mi costava molto, l’ho donato volentieri”.

2. Nell’ultima tua riflessione però entra vistosamente in campo un antropomorfismo che non possiamo applicare a Dio.
Dici infatti: “è davvero teologicamente impensabile che Dio, nella profondità del Suo Essere, in fondo speri di recuperare a Sè”.

3. Caro Antonio, può sperare l’uomo, anzi la speranza è tipica dell’uomo che vive in questo mondo.
La speranza indica un bene che non si possiede ancora e che si può possedere.
Ma di là, nell’eternità, non si può sperare perché o c’è il possesso oppure il fallimento irreversibile.
Neanche gli angeli e i santi possono sperare. Tanto meno Dio, per il quale nulla è impossibile e nulla è difficile.
Ed è proprio per questo che prosegui dicendo: “Prevedo già la Sua risposta negativa

4. Chi va all’inferno non vuole Dio. E Dio non costringe nessuno ad amarlo, a volerlo. Dio tollera questa perversa volontà.
In Cristo ha manifestato tutto il suo dolore per questa scelta empia.
E se per assurdo volesse costringere ad amare, che felicità ci sarebbe nell’essere costretti?

5. Piuttosto diamoci da fare perché tutti si salvino.
Vale a dire: preghiamo, facciamo penitenza, viviamo il più santamente possibile, cerchiamo tutte le maniere per esortare e scongiurare il nostro prossimo a salvarsi.
Diciamo pure che la porta per salvarsi è stretta e che larga è la via che conduce alla perdizione, come ha detto nostro Signore.
I migliori tra noi, vale a dire i santi, queste vie le hanno imparate, escogitate e praticate.
A volte, con motivazioni pseudo teologiche, vogliamo giustificare la nostra ignavia.
Il Signore e gli apostoli hanno parlato diversamente.
Questo, caro Antonio, non lo dico per te, che sei retto e ti poni la questione solo a livello di ragionamento.
Perché sono certo che la tua parte – in preghiera e in opere buone – la fai in maniera lodevole.

Ti saluto cordialmente, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo