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Quesito

Carissimo padre,
nel 1997 è stata aperto dal Card. di Firenze il processo di beatificazione di frà Girolamo Savonarola. Le chiedo se la S. Sede ha annullato la scomunica infertagli da papa Alessandro VI, in caso contrario è possibile aprire un processo di beatificazione per scomunicati?
Grazie e saluti in Xto et Maria


Risposta del sacerdote

Carissimo,
a quanto mi risulta la Santa Sede non ha annullato la scomunica comminata al venerabile Girolamo Savonarola.
E che senso avrebbe annullare la scomunica a uno cui la stessa Chiesa a un anno dalla morte ha concesso di celebrare in suo onore la S. Messa e l’Ufficio divino (liturgia delle ore)?
Ma il problema è di vedere se quella scomunica era valida e per quali motivi fu data.
Inoltre un atto di scomunica non è un atto di magistero infallibile.
Certamente la diocesi di Firenze non avrebbe aperto il processo di beatificazione se non fosse stata persuasa che quella scomunica non toccava minimamente la dottrina e la santità di vita del domenicano.
Sembra che il Savonarola fosse personalmente convinto che quella scomunica era invalida.
La figura del Savonarola rende onore alla chiesa in un momento in cui il papato, con papa Borgia, Alessandro VI, ha toccato – sotto gli aspetti umani – il punto più basso.

Ti riporto due pagine di un volumetto sul Savonarola di Tito Sante Centi, ed. Città nuova (pp. 112-113):
“A Roma quel tumulto rinvigorì in speranza di ottenere sanzioni estreme dalla Curia romana, che finora aveva esitato a lanciare la scomunica. Il papa aveva motivo di temere che quella censura potesse provocare la ribellione in massa del popolo fiorentino a difesa del suo profeta. A vincere le ultime resistenze pensarono due degli Arrabbiati, Tanai de’ Nerli e Alfonso Strozzi.
Là dove tutto si otteneva a pagamento, secondo la denunzia del Savonarola, essi ottennero finalmente a buon prezzo la sospirata censura contro di lui.
I brevi papali, in data 12 e 13 maggio, furono affidati a Giovanvittorio da Camerino, maestro in teologia, già bandito da Firenze per il suo fanatismo antifratesco. Questi, giunto a Siena, pensò bene di far perdere le proprie tracce per circa un mese. E, non avendo ottenuto il salvacondotto della Repubblica, spedì quei brevi per altra persona. In tal modo essi perdevano per legge la loro efficacia. Ma già altre cause rendevano nulla quella censura, come il Savonarola stesso fece subito rilevare:
a) perché ottenuta per interesse privato dai nemici dell’indiziato;
b) perché basata su delitti presunti, ma inesistenti (dottrina perversa e disobbedienza);
c) perché motivata dall’odio irriducibile di tutti gli artefici e procuratori di essa verso la sacra predicazione che mirava alla riforma dei costumi e della disciplina ecclesiastica .
Il Frate, che in coscienza sentiva di non essere colpito da quel provvedimento, scrisse nondimeno al Pontefice, facendo presenti rispettosamente le proprie ragioni, e annunziando a quel pastore supremo «tanto preoccupato della sana dottrina», l’opera che aveva sotto stampa: Il Trionfo della Croce, «dalla quale apparirà manifesto», diceva, «se io sia seminatore di eresia (che non sia mai!) o della cattolica verità».
Ma dopo che la scomunica fu pubblicata in Firenze (in sole cinque chiese, e precisamente in quelle dei religiosi più ostili al Frate), fra Girolamo espose le sue ragioni Contro la escomunicazione surrettizia nuovamente fatta in una breve lettera circolare, indirizzata a tutti i cristiani diletti di Dio, in data 19 giugno. Per i dotti aggiunse subito un documento più ampio in latino, in cui difendeva l’invalidità di quella censura.
A Milano, Ludovico il Moro volle presentare la scomunica papale a un consiglio allargato, convocandovi dotti e ambasciatori. E fece leggere anche la risposta del Frate, deridendone le ragioni come banali sciocchezze. Ma non tutti i presenti furono del suo parere: lo rimbeccarono vivacemente gli ambasciatori di Ferrara e di Firenze. Anzi, lo stesso teologo di corte, p. Vincenzo Bandelli, che d’ordinario era compiacente verso il duca, trovò valide le ragioni del proprio confratello. I frati di San Marco insorsero compatti a difendere il loro maestro. Pronunciamenti analoghi si ebbero in altre comunità domenicane.
Voci in difesa dello scomunicato si fecero udire da varie parti, persino da religiosi di altri Ordini. Cosicché il Borgia cominciò a rammaricarsi, con l’ambasciatore fiorentino, di aver inviato quei malaugurati brevi del 12 e 13 maggio. Il rammarico però non produsse la resipiscenza per tale eccesso, come non volle maturare per le altre sue scelleratezze.
Saranno ormai proprio quei brevi «apostolici» le armi micidiali che serviranno ai Compagnacci, per esasperare la lotta contro il Savonarola, fino alla sua esecuzione capitale”.

Ti ringrazio per la domanda, ti prometto una preghiera affidandoti al martire fiorentino, di cui il beato Pier Giorgio Frassati diventando terziario domenicano volle prendere il nome.
Ti benedico.
Padre Angelo