Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Caro Padre Angelo,
Quello che volevo chiederle oggi è una riflessione che ho fatto leggendo una citazione di S. Tommaso che ha messo lei in una questione nel sito amicidomenicani:
“1. “Le azioni umane non possono di per sé né giovare né nuocere a Dio: tuttavia l’uomo, per quanto dipende da lui, sottrae o dà a Dio qualcosa osservando o non osservando l’ordine che Dio ha stabilito” (San Tommaso, Somma teologica, I-II, 21, 4, ad 1).”
La riflessione riguarda il significato di contrizione perfetta. Il Catechismo insegna che questo consiste nel dolore provato nell’avere offeso Dio.
In genere un uomo prova dolore quando nuoce a una data persona, avendo dispiacere di averle causato del male (se uno offende una data persona verbalmente ad esempio uno si pente per averlo ferito, e la ferita causata è un male che la persona subisce).
Per quanto riguarda Dio, come si può avere dispiacere e dolore nell’averLo offeso, quando l’unico ad avere ricevuto dei danni è il peccatore stesso? Alla luce di queste considerazioni se dovessi peccare in maniera grave mi verrebbe difficile provare dolore per avere offeso un Qualcuno che alla fine non ha ricevuto danni dal mio stesso atto: viene più facile avere paura delle pene che riceverei (contrizione imperfetta).
La saluto, la ringrazio e mi impegno a ricordarla in preghiera.
Alessandro
Risposta del sacerdote
Caro Alessandro,
1. È vero che non possiamo togliere o aggiungere nulla a Dio. Diversamente non sarebbe più Dio.
Tuttavia le nostre azioni, tutte, hanno avuto una risonanza nel corpo e nell’anima di Gesù.
Gesù, nella sua perfettissima scienza le vedeva. Il bene che facciamo lo consolava. Il male che compiamo lo addolorava.
Anzi, il bene che facciamo è conseguenza della potenza dei suoi meriti.
Il male che compiamo lo vedeva come un rifiuto dell’aiuto che intendeva darci, lo sentiva come una vanificazione dei suoi meriti e del suo amore.
2. Guardando all’umanità di Cristo noi scopriamo il male che gli abbiamo fatto e il male che causiamo oggi nel suo corpo mistico, la Chiesa.
Ogni nostra azione, infatti, ha sempre un duplice riverbero: uno sul corpo fisico di Gesù e un altro sul suo corpo mistico.
Contemplando il corpo martoriato del Signore possiamo comprendere quello che attualmente stiamo facendo alla Chiesa e alle anime.
Allora, come vedi, c’è da addolorarsi. E non solo. Ma anche di decidere presto di cambiare vita.
3. È vero che Cristo attualmente è risorto ed è glorioso. E sotto questo aspetto anche a lui personalmente non possiamo togliere o aggiungere nulla.
Tuttavia il Cristo glorioso porta le cicatrici della sua passione.
E contemplando quelle cicatrici dovremmo da una parte sentirci incendiare di amore per lui, e dall’altra dovremmo provare una profonda vergogna.
Il Cristo che noi incontriamo è sempre il Cristo risorto. Ma tutto quello che egli ha compiuto nella sua vita mortale, continua ad essere presente in Lui.
San Giovanni nell’Apocalisse dice che i santi sono sempre accompagnati dalle loro opere: “Poi udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: Beati d’ora in poi, i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»” (Ap 14,13).
Molto di più tutto questo va applicato a Cristo.
4. Sulle conseguenze ecclesiali e sociali di ogni nostro peccato ti riporto l’insegnamento di Giovanni Paolo II: “Poiché col peccato l’uomo rifiuta di sottomettersi a Dio, anche il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti. Così lacerato, l’uomo produce quasi inevitabilmente una lacerazione nel tessuto dei suoi rapporti con gli altri uomini e col mondo creato. È una legge e un fatto oggettivo, che hanno riscontro in tanti momenti della psicologia umana e della vita spirituale, come pure nella realtà della vita sociale, dov’è facile osservare le ripercussioni e i segni del disordine interiore.
Il mistero del peccato si compone di questa doppia ferita, che il peccatore apre nel suo proprio fianco e nel rapporto col prossimo. Perciò si può parlare di peccato personale e sociale: ogni peccato è personale sotto un aspetto; sotto un altro aspetto, ogni peccato è sociale, in quanto e perché ha anche conseguenze sociali” (Reconciliatio et Paenitentia, 15).
E poiché ogni persona “in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta” (RP 16) è intimamente relazionata con le altre, “il peccato di ognuno si ripercuote in qualche modo anche sugli altri. È questa l’altra faccia di quella solidarietà che a livello religioso si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che ogni anima che si eleva, eleva il mondo. A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato, per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la chiesa e, in qualche modo, il mondo intero. In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana” (RP 16).
Questo era il motivo per cui S. Caterina da Siena, contemplando i mali della Chiesa e del mondo, diceva: Peccavi Domine, misereri mei (Ho peccato Signore, abbi pietà di me). Aveva l’impressione di averli causati tutti lei.
5. Ma c’è anche da considerare il male che facciamo a noi stessi, che ci rende sempre più insensibili ai richiami del Signore e incapaci di convertirci seriamente.
Si legge che un giorno il S. Curato d’Ars, sentendo l’accusa dei peccati di una persona, si è messo a piangere.
Il penitente rimase sorpreso e domandò la causa di quel pianto.
Il Santo rispose: “Piango perché non piange lei”.
Il Santo Curato vedeva in quel momento tutti i mali causati dai peccati commessi da quella persona: quelli causati nel corpo fisico di Gesù, quelli causati nel corpo mistico di Cristo e quelli causati nella vita del penitente stesso.
6. Ce n’è dunque per essere autenticamente addolorati ed essere spinti a cambiare vita.
Ti ringrazio delle preghiere che ti impegni a fare per me. Il Signore ti benedirà per questo.
Anch’io prego per te, ti benedico e ti saluto.
Padre Angelo