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Sacerdote e martire ( ? – 1252)

Lo zelo con cui sia gli eretici che gli inquisitori vivevano la loro verità faceva sì che talvolta l’entusiasmo si trasformasse in aggressività, se non addirittura in complotto per sopprimere l’avversario. Gli eretici divenivano aggressivi soprattutto nelle terre governate da qualche conte che li proteggeva, ed erano particolarmente decisi verso quei predicatori che dimostravano di poterli colpire non soltanto con penitenze e pene esteriori, ma anche di poter penetrare nel loro ambiente e di convertire qualche loro adepto.

   Si è già visto come fra i Domenicani alcuni inquisitori provenivano da ambienti ereticali. Uno di questi era il famoso Raniero Sacconi, autore, come si è detto di una esemplare Summa de Catharis. Protagonista della sua conversione, secondo l’opinione comune, era stato fra Pietro da Verona. Non è quindi da meravigliarsi se gli eretici della Lombardia vedessero in lui un serio pericolo per la loro comunità.

   Nato a Verona in una famiglia in cui si respirava aria di manicheismo, Pietro sin da bambino aveva resistito a questa eresia. Non si conosce l’anno della sua nascita, ma quasi certamente va collocata nell’ultimo decennio del XII secolo. Passato all’università di Bologna, entrò nell’Ordine domenicano verso il 1220, almeno a quanto narrano le Vitae Fratrum di Gerardo di Frachet, che pongono l’avvenimento in un tempo in cui Domenico era ancora in vita.

    Sembra che fra le sue prime attività sia da porsi la fondazione e l’organizzazione di alcune confraternite, le quali indubbiamente offrivano buoni strumenti sia per la realizzazione di opere caritative che per la salvaguardia della fede. Secondo un  tardo storico milanese, fra il 1232 e il 1233 fu delegato dal papa Gregorio IX di fare in modo che negli statuti municipali di Milano fosse inserito il decreto Solent haeretici ( 22 maggio 1231) e di operare per la repressione dell’eresia a Milano. I troppi errori cronologici di questo storico fanno dubitare tuttavia, in tutto o in parte, delle veridicità delle sue affermazioni.

  Si sa che in questo stesso periodo nacquero a Milano una Congregazione Mariana ed una  Società della Fede, o dei Fedeli. Diversi scrittori hanno affermato che fu proprio S. Pietro Martire a fondarle. Ma come giustamente è stato osservato, la cosa è alquanto improbabile, in quanto un particolare simile non sarebbe sfuggito né a Tommaso Agni, suo principale biografo, né a Jacopo da Varagine.

Dopo un certo tempo a Como (1236), Pietro passò a predicare a Vercelli (1238) continuando poi tale attività a Roma (1244) e Firenze (1245). In quest’ultima città lasciò un grande ricordo della sua eloquenza e del suo impatto benefico nell’eliminazione dell’eresia. Pochi decenni dopo, infatti, fra Remigio de’ Girolami, discepolo di S. Tommaso, scriveva: “Hanno sperimentato il frutto della sua lingua molte città della Lombardia, come pure Firenze, nelle quali eliminò  le eresie, che allora venivano predicate pubblicamente, e fece tante cose buone e tante ne insegnò a fare”. Lo stesso Remigio riportava le parole di un vecchio frate, anch’esso di S. Maria Novella: Fra Pascale,  che visse a lungo in confidenza col Santo mentre questi si trovava a Firenze, mi riferì che quando questi predicando parlava della fede, tutti gli altri predicatori a paragone con lui apparivano muti, senza eloquenza e balbettanti.

Lasciata Firenze, fra Pietro da Verona tornò verso l’Italia settentrionale, sviluppando la sua predicazione fra Mantova, Pavia, Bergamo e Cesena. Era priore ad Asti (1248-1249) quando fu chiamato ad un’opera pacificatrice fra le città della Romagna e della Marca Anconitana. Fu priore anche a Piacenza (1249-1250), quindi si trasferì a Milano, ove concentrò la sua attività apostolica nella lotta all’eresia.

     Il suo impegno in questo campo coincise col programma al riguardo di Innocenzo IV, deciso a mettere gli eretici alle corde. L’8 giugno 1251 nominò fra Pietro inquisitore della città di Cremona, allargando tale incarico nel mese di settembre alle città di Milano e Como. Quasi contemporaneamente il capitolo provinciale lombardo lo nominava priore in quest’ultima città.

     Il 24 marzo 1252, che era la domenica delle Palme, emanò un decreto col quale prorogava i termini previsti per gli eretici per sottomettersi alla Chiesa, ma specificava anche che i reticenti avrebbero subito un processo canonico. Gli eretici, individuando in lui il loro maggior pericolo, si organizzarono e progettarono di ucciderlo. I due sicari, Pietro da Balsamo (detto Carino) e Albertino Porro, attesero fra Pietro che con alcuni confratelli stava facendo la strada fra Como a Milano. Se Albertino fuggì per non commettere l’omicidio, non così Carino, che sorprese i due frati nel bosco di Barlassina, uccidendo fra Pietro con un colpo di coltello detto “falcastro”, mentre fra Domenico moriva sei giorni dopo per le ferite.

    La venerazione che circondò il cadavere del martire al suo rientro a Milano nel cimitero del convento di S. Eustorgio spinse alla conversione sia l’autore materiale dell’omicidio che il vescovo eretico che l’aveva organizzato (Daniele da Giussano). Il 24 marzo 1253 il papa Innocenzo IV iscriveva Pietro nel catalogo dei Santi. Il capitolo generale dell’Ordine nel 1340 disponeva la collocazione del suo corpo nell’artistico mausoleo scolpito da Giovanni Balduccio da Pisa.

     La sua iconografia si fissò molto presto nell’immagine di un domenicano mentre viene aggredito e ucciso da due eretici oppure di un domenicano con la fronte squarciata o con un coltello conficcato nel cranio, avendo nelle mani una palma simbolo del martirio. La sua Vita,  scritta da Tommaso Agni da Lentini, divenne una delle letture preferite nei refettori dei Domenicani, ed andò a confluire nelle raccolte degli storici domenicani successivi, come Antonio da Siena e Ambrogio Taegio. Secondo il Dondaine, in contrasto con quanto fino ad allora creduto, questa di Tommaso Agni dipende dalle informazioni di Gerardo di Frachet e di Jacopo da Varazze. Quale che sia però la verità, resta il fatto dell’enorme diffusione di essa. L’impatto anche emotivo della vicenda era tale da suscitare stimoli eroici nei giovani frati, ponendo in ombra eventuali perplessità sui metodi dell’inquisizione in sé.

Il culto di S. Pietro da Verona ebbe una grande diffusione, ad opera specialmente delle confraternite oltre che degli ambienti dell’Inquisizione. Come si è detto, che Pietro da Verona con la sua predicazione abbia coinvolto le confraternite, infondendo vitalità e incrementandole, è un fatto acquisito. Che ne sia stato il fondatore, come spesso si afferma, è tutt’altro che certo.

Anche la sua lotta all’eresia, essendo egli un predicatore impegnato, come attesta pochi anni dopo fra Remigio de’ Girolami, è più che probabile. Molto incerta è invece la sua attività di inquisitore, se non per l’ultimo anno della sua vita. I fatti narrati successivamente poggiano su elementi storici esigui, molto ampliati dagli scrittori per glorificare la memoria dell’Inquisitore martire. Il più caratteristico sotto questo aspetto è l’episodio accaduto a Firenze  il 24 agosto 1245. La parte storica, che si evince dai documenti dell’epoca, narra di un’assemblea tenuta nella chiesa del cimitero di Santa Reparata, guidata dal vescovo della città e dall’inquisitore domenicano Ruggero Calcagni, i quali, in risposta all’appoggio dato agli eretici dal podestà Pace di Pessannola, stavano preparando le sanzioni canoniche contro lo stesso podestà e la famiglia Barone, fautrice degli eretici. Al suono della campana del comune gli eretici irruppero nella chiesa e si gettano sui fedeli, uccidendone alcuni e ferendone molti, inseguendoli poi per tutto il cimitero. Verso sera, protetti da cattolici in armi, sulla piazza dinanzi a S. Maria Novella, il vescovo e l’inquisitore proclamarono le suddette sanzioni. Un notaio redasse il verbale, e fra i nomi dei testimoni figura quello di fra Pietro da Verona. Su quest’unico dato documentato sorse poi una tradizione orale riportata circa 200 anni dopo da S. Antonino e ripresa ai primi del Cinquecento dal Taegio. Secondo la suddetta tradizione, l’assemblea di quella sera non si concluse con i verbali notarili di cui sopra, ma con una iniziativa di fra Pietro da Verona, il quale si mise alla testa del movimento cattolico esortando specialmente la famiglia de’ Rossi a prendere le armi. Egli stesso, sventolando una bandiera bianca con al centro una croce rossa, si mise alla testa degli armati, guidandoli da una parte e dall’altra dell’Arno, affrontando gli eretici specialmente nella piazza di S. Felicita e ai pozzi di S. Sisto al Trebbio. I nemici della fede cattolica furono sconfitti e cacciati dalla città. A ricordo dell’episodio, il giorno della festa di S. Pietro Martire, le confraternite organizzavano grandi processioni con lo stendardo del Santo.

Questa immagine di S. Pietro Martire inquisitore e crociato contro i Patareni di Firenze richiama alla memoria l’immagine ancor più leggendaria di S. Domenico che con lo stendardo guida i crociati di Simone di Montfort contro gli albigesi. In un’epoca violenta come quella medioevale la lotta anche armata per la fede era motivo di glorificazione, per cui non c’è da meravigliarsi se, senza preoccuparsi della documentazione, gli scrittori esaltavano in tal modo i loro eroi. C’è da meravigliarsi, caso mai, come  tanti storici odierni , che pure al momento opportuno si mostrano critici dell’attendibilità di certe notizie, sulle crudeltà dell’inquisizione vanno giù duri senza il minimo scrupolo di “critica delle fonti”.

In linea col suddetto spirito di guerra per la fede e la salvezza delle anime, in un breve del 13 aprile 1586 (Invictorum Christi militum) il papa Sisto V affermava tra l’altro che dopo S. Domenico con merito S. Pietro Martire deve essere chiamato  principe del sacrosanto ufficio dell’Inquisizione. Ma fu proprio quest’ultimo elemento a nuocere all’immagine storica del Santo, la cui attività apostolica (tanto intensa fra la gente semplice) fu ridotta a quella inquisitoriale, mentre, a ben considerare, non esiste alcun documento attestante la repressione degli eretici da parte di fra Pietro da Verona.

Comunque anche Santa Caterina ne tesse l’elogio come campione della lotta alle eresie e con questa immagine, più o meno autentica, esso è passato alla storia. Nel “Dialogo” di Caterina da Siena (n. 158), la Santa patrona del laicato domenicano infatti scrive:

“Guarda anche Pietro vergine e martire che con il suo sangue portò la luce fra le tenebre di tante eresie: egli odiò l’eresia tanto da essere pronto a lasciarvi la vita. E mentre visse, sua cura continua fu quella di pregare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la verità e propagando la fede senza alcun timore. E non solo durante la sua vita, ma nche in punto di morte; onde, mentre stava per morire, venendogli meno la voce e mancandogli l’inchiostro, intinse il dito nel proprio sangue: ma non ha carta, questo glorioso martire, e perciò si china e scrive in terra confessando la sua fede, cioè il “Credo in Deum”. Il suo cuore ardeva nella fornace della mia carità, e perciò non rallentò il passo voltando il capo indietro quando capì che doveva morire – prima che morisse, infatti, Io gli rivelai la sua fine – ma, come vero cavaliere privo d’ogni timor servile, uscì allo scoperto, sul campo di battaglia”.