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Quesito

Gentile Padre Angelo
ricollegandomi al post sul timore della morte, il continuo timore e la paura, se da un lato sono salutari e validi aiuti contro il peccato, dall’altro lato non rischiano di togliere la pace nel cuore? Forse si rischia di vivere con la costante paura di un Dio pronto a colpirci con estrema severità per ogni minima mancanza. L’estremo opposto è la spavalderia e il non tenere in alcun conto della Giustizia Divina. Qual è il corretto atteggiamento cristiano?
Distinti saluti.
Marchesini


Risposta del sacerdote

Caro Marchesini,
1. la domanda che mi era stata posta verteva su un oggetto particolare: se sia normale per un cristiano avere timore della morte.
Nella risposta, rimanendo aderente alla richiesta, ho detto di sì. E per un duplice motivo.
Non dobbiamo dimenticare che san Paolo ha detto che la morte è “l’ultimo nemico” che deve essere vinto (1 Cor 15,26).

2. La tua osservazione mi permette adesso di dire che il nostro atteggiamento di fronte alla morte non è soltanto di timore.
Il cristiano, soprattutto se muore in grazia di Dio, ha pure un atteggiamento di fiducia, di speranza.
Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo.
È l’attesa dell’incontro col Signore, è l’attesa delle nozze.
San Paolo dice: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). E dice anche di avere “il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” (Fil 1,23).
Sant’Ignazio di Antiochia, della fine del primo secolo, mentre veniva condotto al martirio scriveva ai romani queste parole: “Per me è meglio morire per Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il momento in cui sarò partorito è imminente… Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo” (Lettera ai Romani 6,1-2).
Nella morte il cristiano sente che Dio lo chiama a sé. E per questo trasforma la naturale ripugnanza per la morte in un atto di obbedienza e di amore al Padre, sull’esempio di Cristo che nell’ora suprema della sua vita dice: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23,46).
Sant’Ignazio di Antiochia, nella medesima lettera che ti ho citata, scrive: “Sento un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre!» (Lettera ai Romani 7,2).
Santa Teresa di Gesù Bambino morendo dice: “Non muoio, entro nella vita” (Novissima verba).
La liturgia della Chiesa ci offre questa visione della morte: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo” (Messale Romano, Prefazio dei defunti, I).

3. E tuttavia, pur con questi sentimenti che sono senz’altro belli e incoraggianti, la Chiesa vuole che ci prepariamo all’ora della nostra morte.
Nell’Ave Maria chiediamo alla Madre di Dio di intercedere per noi “nell’ora della nostra morte”.
Nelle vecchie litanie dei santi esprimeva a Dio anche questa invocazione: “Dalla morte improvvisa, liberaci, Signore”.
La Chiesa ci offre san Giuseppe, patrono della buona morte.
Sicché rimane sempre valido ciò che si legge nell’Imitazione di Cristo: “In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani?” (Imitazione di Cristo, I, 23, 1).
Il Signore ti benedica. E anch’io ti benedico.
Padre Angelo.