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Quesito
Caro padre Angelo,
mi chiamo …, ho 21 anni e sono al secondo anno di Filosofia: quest’anno ho frequentato un corso di Ebraico biblico che mi ha provocato non pochi patemi (non Le scrivo il nome del professore – noto studioso di fama internazionale – né quello dell’università in quanto non voglio dare l’impressione di stare per chiederLe un giudizio “ad personam” o “ad atheneum”). Il mio problema è formulato con ingenuo candore dal visitatore della risposta del 22.4.2015 quando dice “ho paura che faccia qualche peccato” nell’ accostarsi alla Bibbia in modo sbagliato…
Mi spiego: nei corsi che ho frequentato l’Antico Testamento viene presentato come un testo antico al pari – dice il professore – dell’Odissea o dell’Eneide e che va quindi studiato come un prodotto dell’ambiente storico-culturale in cui è sorto. I risultati di un simile approccio mi stanno schockando: l’Antico Testamento sarebbe una collezione di testi recenti (di età persiana o alessandrina), le storie dei Patriarchi e dell’ Esodo sarebbero miti di fondazione abbastanza in contraddizione tra loro: il tutto (e lo stesso monoteismo) sarebbe un prodotto della reazione al trauma dell’ Esilio babilonese, mentre prima gli Ebrei avrebbero avuto un pantheon politeista e un’ideologia religiosa non dissimile dai popoli circostanti: una terra, un re, un dio tutelare…
Il professore ricorre a questo approccio non per volontà di dissacrare ma perché, ci ha spiegato, queste sono le linee-guida e i risultati dell’odierna ricerca storico-critica cosi’ come viene condotta da vari decenni nelle piu’ prestigiose università del mondo in base ai piu’ recenti dati storici, filologici e archeologici… Eppure io sono sconvolta: che rimane dei fondamenti primi e ultimi della mia tradizione?
Nella risposta del 22 Aprile cui accennavo prima lei parla delle “note (al testo biblico) curate dagli esperti (…) chiamati anche esegeti”, sottolineando che tali note devono essere “autenticate dalla Chiesa” affinché abbiano davvero valore scientifico e pastorale: come comportarsi dunque di fronte a simili studi che, di fatto, minano e distruggono le nostre secolari certezze di fede? Non c’è il rischio, seguendo tali corsi universitari, di ritrovarsi inconsapevolmente invischiati in attività e idee blasfeme?
La ringrazio dell’attenzione e mi raccomando al Suo benevolo ricordo nelle Sue preghiere.
Risposta del sacerdote
Carissima,
1. non so che dire delle affermazioni del tuo docente.
Paragonare la Sacra Scrittura all’Eneide e all’Odissea è la stessa cosa che dissacrarla, quando sappiamo che l’Autore principale dei testi sacri è Dio.
2. Ti trascrivo alcune espressioni della Costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II sulla divina rivelazione.
Come emerge dalla nostra personale esperienza e anche dalle affermazioni del Concilio, quando prendiamo in mano quei testi sacri sentiamo di realizzare un incontro e che quella parola scritta non è una parola qualunque, una parola morta come quella dell’Iliade e dell’Odissea ma, come si legge nella lettera agli ebrei, è parola di Dio e in quanto tale “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12).
L’approccio del tuo biblista, così come me l’hai presentato. sembra quello di un ateo.
3. Ecco dunque che cosa dice il Concilio: “L’economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio nei libri del Vecchio Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: «Quanto fu scritto, lo è stato per nostro ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza» (Rm 15,4)” (DV 14).
4. “L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1 Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1 Cor 10,11) l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del regno messianico.
I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l’uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini.
Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza” (DV 15).
5. “Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo.
Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo (cfr. Lc 22,20; 1 Cor 11,25), tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 5,17; Lc 24,27), che essi a loro volta illuminano e spiegano” (DV 16).
6. Sulla data di composizione del Pentateuco che contiene i primi cinque libri della Scrittura, premesso che prima degli scritti ci sono state le tradizioni orali (non possiamo dimenticare che a quei tempi c’era la cosiddetta cultura della memoria) senti che cosa dice la prestigiosa Bibbia di Gerusalemme:
“Il problema è sapere se queste tradizioni avessero già una forma scritta. Non è facile rispondere a questo interrogativo; ma si può dire che diversi fattori, tra cui la crisi provocata dalla minaccia e poi dalla conquista assira, oltre allo sviluppo culturale che portava all’impiego, ancora limitato, della scrittura per usi diversi da scopi utilitaristici, hanno contribuito alle prime stesure scritte di certe tradizioni narrative e di un minimo di leggi. Ma ci manca ogni informazione esterna ai testi. Si può tuttavia segnalare che le tradizioni bibliche testimoniano un’attività letteraria degli «scribi» di Ezechia (Pr 25,1), così come una trasmissione, che può essere iniziata oralmente, nella scuola del suo contemporaneo, il profeta Isaia (Is 8,16). Si può pensare che la fine dell’VIlI secolo a.C. non è un inizio assoluto, ma non abbiamo dati sicuri per risalire più indietro, in maniera ipotetica si può suggerire che il periodo di pace e di prosperità di Geroboamo II in Israele (verso il 783-743) e di Ozia in Giuda (verso il 781-740) può già essere il momento in cui Israele e Giuda hanno fissato per la prima volta in modo letterario le tradizioni sul loro passato. Ciò significherebbe che all’inizio si sono avute delle tradizioni proprie a ciascuno dei due regni. Le tradizioni del nord sono «elohiste» e quelle del sud «jahviste>: esse utilizzano rispettivamente i nomi divini Elohim e YHWWH. Ma questi due blocchi di tradizioni, la formulazione scritta dei quali avviene probabilmente prima della caduta di Samaria nel 722/721 a.C., sono confluiti verso Gerusalemme e là il processo della loro fissazione letteraria è continuato. Si può ipotizzare che le due tradizioni siano state unificate con cautela, rispettando le caratteristiche proprie di ognuna. Ecco perché abbiamo dei racconti e perfino delle prescrizioni legali in doppia versione; ed ecco anche perché le prospettive sono diverse” (La Bibbia di Gerusalemme, Il Pentateuco, p. 11).
7. Ti riporto anche quanto la medesima Bibbia dice dei Salmi. Di ognuno di essi, lo sappiamo bene, viene detto se sia di Davide (o comunque della sua cerchia) o di qualcun altro.
Davide è del decimo secolo avanti Cristo.
Forse non saranno stati scritti subito a motivo della cultura della memoria. Ma con questo non possiamo metterne in discussione l’autenticità e l’autore.
Ecco dunque che cosa dice la Bibbia di Gerusalemme:
“Un tempo la critica aveva posto la composizione della maggior parte dei salmi dopo l’esilio; ora si ritorna a considerazioni più sagge.
Sembra infatti che un numero abbastanza grande di salmi risalga all’epoca monarchica (dai tempi di Davide fino all’esilio che avvenne nel 587 a. C,; n.d.r.), in particolare i salmi regali; ma il loro contenuto è troppo generico perché si possa fare qualche ipotesi sulla loro data precisa.
Invece, i salmi del regno di YHWH, carichi di reminiscenze di altri salmi e della seconda di Isaia, sono stati composti durante l’esilio; così anche i salmi che, come il 137, parlano della rovina di Gerusalemme e della deportazione.
Il ritorno è cantato in 126.
Il periodo che seguì sembra sia stato fecondo di composizioni di salmi: è il momento in cui il culto si sviluppa nel tempio restaurato, in cui i cantori crescono in dignità e sono messi sullo stesso piano dei leviti, in cui anche i saggi adottano il genere dei salmi per diffondere il loro insegnamento, come farà Ben Sira.
Bisogna discendere più in basso dell’epoca persiana e riconoscere dei salmi maccabei? La questione si pone soprattutto per 44; 79; 83; ma gli argomenti proposti non bastano per rendere verosimile una data così bassa” (La Bibbia di Gerusalemme, Il Pentateuco, p. 1203).
Come vedi, questa prestigiosa Bibbia si esprime in termini ben diversi di come si sia espresso il tuo professore che parla a degli studenti abbastanza sprovvediti di competenza per poter confutare le sue asserzioni.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo volentieri al Signore e ti benedico.
Padre Angelo