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Quesito

Caro Padre Angelo,
mi sono accorto che alcuni ambienti cattolici non vedono di buon occhio il Concilio Vaticano II.
Innanzitutto, sembra che esso si sia distaccato, diciamo così, dallo “stile” dei precedenti concili. Molti attribuiscono a questo la successiva crisi della Chiesa, con la disubbedienza di sacerdoti e addirittura di vescovi all’autorità ecclesiale, e la generale confusione di molti nella dottrina.
Giovanni XXIII, stando a quello che ho letto, avrebbe affermato che si aspettava una “nuova primavera” per la Chiesa, e fu in questo smentito da Paolo VI che qualche anno dopo constatò in maniera amareggiata un “freddo inverno”.
Inoltre ci sono i dubbi sul cambio della liturgia, ma questo merita un quesito a parte, in quanto non riguarda il Concilio ma il successivo messale promulgato, come sappiamo, da Paolo VI.

Insomma, lei cosa ne pensa? E’ possibile, almeno ipoteticamente, che il Concilio possa aver indebolito la Chiesa? Questo nonostante l’infallibilità, che mi pare ci sia nelle dichiarazioni conciliari? E cosa significa che non è stato “dogmatico” ma “pastorale”?
Insomma, è stata un’evoluzione positiva, o si è perso qualcosa?

La ringrazio in anticipo per la risposta e la ricordo nella preghiera
Lorenzo


Risposta del sacerdote

Caro Lorenzo,
1. la Chiesa è guidata dal Signore e il Concilio voluto per ispirazione celeste dal beato Giovanni XXIII costituisce senza dubbio un balzo in avanti della Chiesa.
Papa Giovanni aveva fatto una preghiera che si recitava la domenica in tutte le Chiese in cui si invocava lo Spirito Santo perché il Concilio fosse per la Chiesa come una novella Pentecoste.
Se noi prendiamo gli Atti del Concilio, perché il Concilio per noi si trova qui, ci accorgiamo che sono di una freschezza impareggiabile.
Il Concilio ha voluto un rinnovamento nella via della santità. Ha messo i tesori della Liturgia e soprattutto della Sacra Scrittura alla portata dei fedeli, permettendo che venisse celebrata nelle varie lingue.
Ha voluto una Chiesa nella quale i laici prendessero il loro posto da protagonisti.
Ha voluto una vita religiosa che risplendesse in pienezza per il carisma e la santità del fondatore.
In tutto ha promosso un rinnovamento.
Se vai a leggere il discorso di apertura del Concilio fatto da papa Giovanni hai l’impressione di trovarti di fronte ad un evento veramente molto grande per la Chiesa e per il mondo.
Tutto era segnato da grande ottimismo.
La Chiesa, durante il Concilio e nella produzione dei suoi Atti, era consapevole dell’assistenza dello Spirito Santo. Ogni documento conciliare fa riferimento a questo.
Se non sono ancora maturati in pienezza i frutti che ci sia attendeva, non è per colpa del Concilio, ma perché qualcosa l’ha ostacolato.

2. Come mai anziché la primavera sembra che sia arrivato l’inverno, almeno da qualche parte?
La causa non sta nel Concilio, ma in qualcosa d’altro.
Secondo me i fattori sono molti. Ne elenco alcuni, in maniera molto sommaria.
1. Innanzitutto vi è stato uno stravolgimento del Concilio da parte di alcuni, che a quei tempi andavano per la maggiore. Su questo tornerò tra breve presentando una lucida analisi di Benedetto XVI.
2. Nel frattempo c’è stato il sessantotto, con la conseguente contestazione che ha indubbiamente influito nell’aumentare la confusione.
3. Non va dimenticato il progresso economico, che ha portato l’occidente all’opulenza. Questo periodo è caratterizzato dalla secolarizzazione e da un certo indifferentismo religioso. Questo clima non c’era quando fu indetto il Concilio.
4. La grande semina di satana nella Chiesa e nel mondo. Mentre veniva seminata la buona semente, proprio come nella parabola evangelica, il nemico dell’uomo ha seminato la zizzania.

3. Benedetto XVI, in una limpida diagnosi fatta alla Curia romana prima del Natale del 2005, ha ricordato che dopo il Concilio si sono affrontate due interpretazioni (ermeneutiche) contrastanti sul Concilio stesso.
La prima è un’interpretazione o ermeneutica di discontinuità o rottura. La seconda di continuità-riforma.
Dice il Papa: “L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti.
Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna.
Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.

4. “L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l’unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili…
Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito…
Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale”.
“In questo modo – continua il Papa – il Concilio viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire.
I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso”.

5. All’ermeneutica della discontinuità si oppone l’ermeneutica della riforma, quale la hanno intesa Giovanni XXIII nell’indire il Concilio e avviarne i lavori, e Paolo VI che l’ha continuato e concluso.
Quando l’interpretazione del Concilio si è attenuta al programma «estremamente esigente» di Giovanni XXIII, sapendo distinguere fra il deposito delle verità della fede, che sono immutabili, e il modo storico, contingente, col quale esse sono annunciate, “è cresciuta – rileva Benedetto XVI – una nuova vita e sono maturati frutti nuovi.
Quarant’anni dopo il Concilio possiamo rilevare che il positivo è più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell’agitazione degli anni intorno al 1968. Oggi vediamo che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce così anche la nostra profonda gratitudine per l’opera svolta dal Concilio”.

6. Concilio pastorale e non dogmatico significa che il Concilio non è stato voluto né incaricato per sancire nuovi dogmi.
Il suo carattere è stato pastorale, e cioè di rinnovamento nella santità e di nuovo approccio col mondo.
Questo non significa che i suoi Atti non abbiano un grande peso dogmatico. Ce l’hanno, eccome. Ma il Concilio non ha voluto sancire dogmi o condannare errori.

7. Mi chiedi: “Insomma, è stata un’evoluzione positiva, o si è perso qualcosa?”
Senza dubbio è stato un evento di gran lunga positivo, come rileva anche Benedetto XVI. Pur tenendo presente che tante cose sono ancora da riformare.
E questo non a causa del Concilio, ma nonostante il Concilio.

Ti ringrazio, caro Lorenzo. Mi hai permesso di dichiarare la mia totale adesione alla Chiesa e alla Sua guida (sia a quella Invisibile che a quella visibile).
Il Signore non manda indietro la sua Chiesa. E se permette negli uomini delle defezioni, è per trarne un beneficio ancora più grande.
Ne sono profondamente convinto.
Ti seguo con la preghiera e ti benedico.
Padre Angelo