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Quesito
Caro Padre Angelo,
mi perdoni ma non mi trovo d’accordo con quanto ha scritto a questa ragazza e cioè: "Purtroppo il rimorso ti rimarrà anche dopo la confessione, perché la memoria non si può cancellare".
So che la memoria non si può cancellare ma il perdono del Signore cancella tutti gli atteggiamenti negativi che sono associati a quel ricordo sensibile. Quando ci vengono rimessi i peccati noi risuscitiamo, siamo delle creature nuove come dice S. Paolo e non possono rimanere dei rimasugli, degli strascichi che sono cosa dell’uomo vecchio; a mio parere se permangono dei rimorsi non c’è una vera risurrezione dell’anima. Anche S. Paolo ha ucciso tantissime persone prima di convertirsi ma una volta che si è pentito ed è stato perdonato dal Signore la sua vita è stata tutta una gioia, tutta una luce, senza nessuno strascico.
Questo è quello che penso ma con umiltà le chiedo di spiegarmi meglio quello che intendeva con quell’affermazione pronto anche a cambiare idea qualora mi accorga di non aver proprio ragione.
Alessandro
Risposta del sacerdote
Caro Alessandro,
1. quanto ho scritto l’ho ricavato anzitutto dalla mia esperienza di confessore: il dramma dell’aborto non solo non si cancella dalla memoria di una donna, ma nonostante la confessione sacramentale lascia nelle donne un senso di rimpianto.
Anche Giovanni Paolo II, nell’enciclica Evangelium vitae, sembra evocare questo dramma quando, rivolgendosi alle donne che hanno abortito, scrive: “Probabilmente la ferita nel vostro animo non si è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità” (Evangelium vitae, 99).
C. Genovese, in un articolo pubblicato su Medicina e Morale, 4/2002, Conseguenze psicologiche derivanti dall’interruzione volontaria della gravidanza, in Medicina e Morale, rileva che le donne che hanno abortito non riescono a perdonarsi.
2. Tu dici che “il perdono del Signore cancella tutti gli atteggiamenti negativi che sono associati a quel ricordo sensibile”. Fosse vero! Ma ti garantisco che non è così.
E non puoi dire che le donne che si portano dietro il rimpianto di aver abortito non si siano confessate bene. A volte tornano su questo peccato con una contrizione così forte che potrebbe spaccare le rocce più dure.
Non mi meraviglio che sia così. S. Teresa d’Avila ha detto che “non v’è morte più dura del pensiero di aver offeso il Signore” (Vita, 34,10. E lei probabilmente non aveva mai offeso il Signore mortalmente.
Dicono che anche San Pietro abbia pianto per tutta la vita per aver rinnegato Gesù.
San Tommaso porta questa spiegazione teologica: “Si deve considerare che nessuno ama sinceramente se non fa sincera penitenza. È evidente che quanto più amiamo una persona, tanto più ci dispiace di averla offesa o di offenderla. E anche questo è un effetto della carità” (In duo praecepta caritatis et in decem legis praecepta expositio, n.1146).
Anche Davide, che si era ben pentito del suo peccato, diceva: “Il mio peccato mi sta sempre davanti” (Sal 51, ).
Prima di dare la benedizione “urbi et orbi”, il Sommo Pontefice chiede al Signore di concedere ai fedeli, insieme a “gioia e pace”, emendazione della vita, un cuore sempre penitente, uno spazio di tempio per fare una vera e fruttuosa penitenza” (“Gaudium cum pace, emendationem vitae, cor semper penitens, spatium verae et fructuosae poenitentiae, gratia et consolationem Sancti Spiritus, perseverantiam in bonis operibus tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus”).
Caro Alessandro, come vedi, quella di piangere i propri peccati è addirittura invocata come una grazia!
3. Tu scrivi ancora: “Quando ci vengono rimessi i peccati noi risuscitiamo, siamo delle creature nuove come dice S. Paolo e non possono rimanere dei rimasugli, degli strascichi che sono cosa dell’uomo vecchio; a mio parere se permangono dei rimorsi non c’è una vera risurrezione dell’anima”.
Anche questo non è vero.
Dice Giovanni Paolo II: “anche dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza” (ReP 31,III).
Questo è uno dei motivi per cui il sacerdote impone delle opere penitenziali da compiere, sebbene il peccato sia stato del tutto cancellato dalla misericordia del Signore.
Del resto questa è pure la nostra esperienza: dopo la confessione rimangono in noi le predisposizioni a commettere gli stessi peccati che abbiamo confessato. In una parola: anche dopo la confessione rimangono le inclinazioni al male.
4. Infine scrivi: “Anche S. Paolo ha ucciso tantissime persone prima di convertirsi ma una volta che si è pentito ed è stato perdonato dal Signore la sua vita è stata tutta una gioia, tutta una luce, senza nessuno strascico”.
Intanto non è documentato da nessuna parte che San Paolo abbia ucciso tantissime persone. Certamente era tra quelli che avevano approvato l’uccisione di Stefano.
Si sa che era autorizzato a mettere in prigione tutti quelli che aderivano alla nuova dottrina. Egli stesso in Atti degli Apostoli 26,9-11 dice: “Anch’io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno, come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l’autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch’io ho votato contro di loro”.
In Gal 1,13 torna su questa vicenda: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi”, ma non dice di aver ucciso.
In 1 Cor 15, 8-9 manifesta il rincrescimento di aver perseguitato la Chiesa di Dio: “Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio”.
5. Infine, sebbene dopo la conversione sia diventato una creatura nuova, tuttavia egli stesso attesta che in lui vi sono ancora delle cose che non vanno.
Scrive: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rm 7,18-24).
Allora anche in san Paolo, sebbene diventato nuova creatura, rimangono delle zone d’ombra. Neanche lui è “tutta una luce, senza nessuno strascico”.
Spero pertanto di aver chiarito meglio il mio pensiero e di averti convinto.
Ti ringrazio di avermi dato l’opportunità di tornare sull’argomento, ti ricordo nelle mie preghiere e ti benedico.
Padre Angelo