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Quesito
Carissimo Padre,
desideravo sapere come possa conciliarsi la “beatitudine” che ci attende in Paradiso con la consapevolezza che i nostri cari rimasti sulla terra possano soffrire per la nostra morte. Penso, quale immagine che mi risulta quasi insopportabile, allo strazio di un bimbo che cerca il padre (che non c’è più). Come può quel padre godere di autentica “felicità”?
Grazie di cuore.
Antonio
Risposta del sacerdote
Caro Antonio,
1. Nella Sacra Scrittura si legge che Dio, per la sua benevolenza nei confronti di Giosia, gli risparmiò con la morte il dolore che lo avrebbe colpito nel vedere le sofferenze del suo popolo. Il testo sacro infatti dice: “Poiché il tuo cuore si è intenerito e ti sei umiliato davanti al Signore, all’udire quanto ho proferito contro questo luogo e contro i suoi abitanti, per farne motivo di orrore e di maledizione, e ti sei stracciato le vesti e hai pianto davanti a me, anch’io ho ascoltato, oracolo del Signore! Per questo, ecco, io ti riunirò ai tuoi padri e sarai loro riunito nel tuo sepolcro in pace e i tuoi occhi non vedranno tutta la sciagura che io farò venire su questo luogo»” (2 Re 22,19-20).
Da questo alcuni arguirono che neanche dopo la morte avrebbero visto le sciagure e le sofferenze del popolo.
2. A questi San Tommaso risponde: “I santi, pur conoscendo dopo la morte le umane vicende, non bisogna credere che siano afflitti alla vista delle avversità di coloro che essi amarono nel mondo. Sono infatti talmente pieni di gaudio beatifico, che non c’è posto per il dolore.
Sebbene essi conoscano dopo morte le disgrazie dei propri cari, tuttavia sono sottratti alla sofferenza quando la morte previene in essi quegli infortuni.
Ma poiché l’anima di Giosia non fu glorificata subito dopo la morte, Sant’Agostino conclude che le anime dei defunti non hanno nessuna notizia delle vicende dei vivi” (Supplemento alla Somma teologica, 72, 1, ad 2).
3. L’affermazione di Sant’Agostino andava bene per Giosia, vissuto nell’Antico Testamento, perché dopo la morte non poteva vedere la divina essenza nella quale si conosce ogni cosa. Il Paradiso, infatti, sarebbe stato aperto solo con la risurrezione di Gesù.
Sicché noi pensiamo che quelli che vanno in Purgatorio, a meno che Dio non conceda loro una particolare illuminazione, non abbiano alcuna notizia sulle vicende dei vivi. Nel Purgatorio si è immersi come in una fitta nebbia.
Nel caso che abbiano qualche illuminazione da parte di Dio allora possono soffrire. In questo senso San Tommaso dice che “forse le anime non glorificate potrebbero affliggersi nell’apprendere le avversità dei propri cari” (Ib.).
Questa loro sofferenza coopererebbe per la loro purificazione.
4. Se invece si tratta di anime che sono già in Paradiso le cose stanno diversamente.
In Paradiso, infatti, a differenza del Purgatorio si è nell’eternità. Ciò significa che non c’è un momento successivo ad un altro per cui prima si possa soffrire e poi si possa godere. Mentre vedono le sofferenze di quelli che hanno lasciato di qua, nello stesso istante vedono la quantità smisurata di gloria che quelle sofferenze avrebbero loro procurato.
Infatti “il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria” (2 Cor 4,17).
5. Si può aggiungere anche che vedendo le sofferenze dei loro cari, sono maggiormente spinti a pregare per loro perché la loro sofferenza venga consolata e diventi meritoria.
Dice San Tommaso: “Quantunque i Santi in cielo non si trovino nello stato di poter meritare per sé, tuttavia possono meritare per gli altri, o meglio possono aiutare gli altri per i meriti precedentemente acquistati: essi infatti hanno meritato in vita di vedere esaudite dopo morte le loro preghiere” (Supplemento alla Somma teologica, 72, 3, ad 4).
6. Ora “i Santi pregano per noi in due modi.
Primo, espressamente, quando bussano per noi alle porte della divina clemenza.
Secondo, in modo interpretativo, cioè mediante i loro meriti presenti al cospetto di Dio, i quali non solo costituiscono la loro gloria, ma sono per noi come dei suffragi e delle preghiere: come del resto è del sangue di Cristo, che implora per noi il perdono.
Ebbene, le preghiere dei santi, di per se stesse, sono efficaci ad impetrare ciò che chiedono in tutti e due i modi” (Ib., 72, 3).
7. La gioia dei Santi infatti è perfetta. Gesù ha detto a coloro che hanno trafficato bene i loro talenti: “Entra nella gioia del tuo Signore” (Mt 25,21).
San Tommaso commenta: la gioia di Dio è così grande che non può entrare tutta nel cuore dell’uomo. Per questo viene detto “entra nella gioia del tuo Signore” perché verremo immersi in essa. Ne saremo impregnati come il pezzo di legno immerso nel fuoco che ne viene avviluppato da ogni parte, dentro e fuori.
Per cui i Santi, pur estremamente compassionevoli, non possono soffrire.
Con l’augurio entrare anche noi nella gioia del Signore, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo