Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Carissimo padre
Potrebbe per favore il significato dei peccati capitali?
Perché sono distinti dagli altri?
Si può peccare sia mortalmente che venialmente nella specie di ciascuno di essi?
Il consenso che si può dare in un peccato occasionale di ira può davvero essere deliberato visto che la reazione di ira è un qualcosa di impulsivo e pertanto di difficile controllo?
E per la gola come stabilire in tutta onestà il limite tra veniale e mortale?
La ringrazio per la sua risposta.
Le chiedo se può dedicarmi una preghiera con l’intenzione che mi vengano risparmiate, per quanto possibile, quelle tentazioni che faccio tanta fatica a combattere e nelle quali vengo spesso vinta. Mi sento tanto debole.
Non so se faccio bene a chiederle questa preghiera o se sia più giusto pregare per avere maggiore forza nel combattere vizi e tentazioni.
Io le assicuro un ricordo nelle mie preghiere perché il Signore sia sempre con lei e benedica ogni sua azione.
Risposta del sacerdote
Carissima,
1. alcuni peccati, che degenerano in vizi perché si esprimono con frequenti cadute, vengono detti capitali perché sono come la madre, la generatrice, la sorgente di altri peccati e vizi.
Scrive San Tommaso: “Capitale deriva da capo. E capo propriamente è quella parte dell’animale che è principio ed elemento direttivo di tutto l’animale. Perciò in senso metaforico si denomina capo qualsiasi principio: anzi, si denominano capi persino gli uomini che dirigono e governano gli altri.
Quindi vizio capitale deriva … in senso metaforico dal termine capo, cioè nel senso di principio e trascinatore di altri.
E allora vizio capitale non solo è principio di altri, ma ne è pure la guida e in qualche modo il trascinatore… Ecco perché S. Gregorio paragona i vizi capitali ai comandanti di un esercito” (Somma teologica, I-II, 84, 3).
2. San Tommaso preferisce parlare di vizi captali piuttosto che di peccati capitali per indicare che si tratta di abiti o propensioni cattive che sono state originate da peccati ripetuti.
Perciò, ad esempio, chi si è ubriacato solo una volta o poche volte non si può dire che abbia contratto il vizio capitale.
I vizi invece inducono a compiere altri peccati o perché li suscitano o perché conducono ad essi.
3. Al seguito di San Gregorio Magno comunemente i vizi capitali sono computati in numero di sette: vana gloria, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia (pigrizia nelle cose spirituali).
Alcuni vi aggiungono la superbia, che viene definita da San Tommaso la regina e inizio di ogni peccato.
Infatti la superbia, che è uno disordinato desiderio di primeggiare, è all’inizio di ogni peccato.
Altri mettono la superbia come il primo dei vizi capitali, allora i vizi capitali vengono computati in numero di otto. Così ad esempio Evagrio Pontico.
4. Per San Tommaso i vizi capitali sono sette e mette insieme superbia e vanagloria. E ne porta la spiegazione.
Quattro sono i generi di beni che l’uomo è solito desiderare in maniera disordinata e tre sono i beni che l’uomo fugge perché gli pare che vi sia annesso anche un male.
Il primo dei beni che si perseguono in maniera disordinata è il proprio primeggiare sugli altri, da cui il desiderio disordinato dell’onore e della lode. Di qui nasce la superbia e la vana gloria.
Un altro bene che molto spesso viene cercato in maniera disordinata è il bene del corpo.
Questo bene del corpo è duplice: la conservazione di sé, che si attua con l’assunzione disordinata di cibi e di bevande. E qui abbiamo la gola.
L’altro bene del corpo riguarda la conservazione della specie alla quale si è inclinati attraverso il desiderio sessuale che quando viene vissuto in maniera disordinata causa la lussuria.
Il quarto bene che viene cercato in maniera irrazionale è costituito dalle ricchezze, circa le quali ha a che fare l’avarizia.
Invece i beni che vengono fuggiti in maniera disordinata perché ad essi è congiunto un male sono: il bene spirituale che viene tralasciato per la fatica corporale che vi è aggiunta. E questa fuga si chiama accidia.
Oppure si tratta del bene degli altri che causa in noi tristezza perché impedisce il nostro primeggiare. Questa tristezza è costituita dall’invidia.
Oppure si tratta di un bene degli altri che suscita in noi la volontà di toglierglielo. E questo produce l’ira (cf. Somma teologica, I-II, 84, 4).
5. La malizia dei vizi capitali non sempre è superiore a quella degli altri peccati perché vi sono peccati peggiori, come l’odio di Dio o la bestemmia.
Inoltre non sempre la materia di questi vizi è grave.
6. Venendo alle due domande precise.
Anzitutto bisogna distinguere tra ira intesa come emozione e ira come vizio capitale.
Nel primo caso di per sé non si tratta di peccato. Dipende dal come si reagisce dinanzi al comportamento altrui.
Se si reagisce in maniera non controllata si commette peccato.
Ma molto spesso questo peccato non eccede il veniale.
Diventa mortale quando si toglie all’altro un bene di un certo valore e del quale si ha diritto.
Ugualmente per la gola. Vi è peccato grave quando ci si ubriaca oppure si va a vomitare quanto si è mangiato per puro piacere.
Volentieri assicuro una preghiera per le intenzioni che mi hai indicato, ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo