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Quesito

Gentile P. Angelo,
da un po’ che non la sento. Spero che stia bene. Colgo l’occasione di questa mail innanzitutto per salutarla e poi per chiederle alcune curiosità.
Vorrei delle delucidazioni sulla cd. sofferenza vicaria. Mi è chiaro come per la comunione dei santi e per essere un unico corpo mistico, ognuno possa pregare efficacemente per un altro cristiano, ma non mi è chiaro però come sia possibile che alcune persone (penso a Padre Pio e Natuzza Evolo) possano caricarsi le sofferenze di altri ed ottenere in questo modo guarigioni per quelle persone per le quali soffrono. Certo questa idea mi richiama la sofferenza di Cristo che si è assunto i peccati dell’uomo e caricandoli su di sè, li ha espiati! E poi mi chiedevo… se il sacrificio della croce è stato perfetto, perchè Cristo chiama altri ad unirli alla sua sofferenza per la salvezza dell’ umanità? Non è stato sufficiente il suo sacrificio?
La saluto con affetto
Domenico


Risposta del sacerdote

Caro Domenico,
1. per utilità dei nostri visitatori desidero anzitutto chiarire che cosa s’intenda per soddisfazione vicaria.
La soddisfazione nel diritto romano era il compenso per un debito da pagare o per un’ingiuria da riparare.
Nei primi secoli cristiani si usò la voce soddisfazione per significare le opere e le intercessioni dei Santi, soprattutto dei martiri, a vantaggio dei peccatori.
In questo ultimo senso S. Anselmo l’applicò a Cristo Redentore.
Nel suo opuscolo «Cur Deus homo» (perché Dio si è fatto uomo) egli insiste sul concetto di soddisfazione come riparazione oggettiva dell’ordine naturale turbato dalla colpa, in modo da stabilire una proporzione giuridica tra l’una e l’altro.
S. Tommaso integrerà questo concetto con l’amore e l’obbedienza di Cristo e col principio della solidarietà tra Cristo Capo e le sue membra mistiche, gli uomini.
Più tardi si aggiungerà un aggettivo e si parlerà di soddisfazione vicaria, per indicare la sostituzione di Cristo agli uomini nel soddisfare alla divina giustizia per liberarli dalla schiavitù del demonio e del peccato.
Questa soddisfazione fatta da Cristo specialmente con la sua passione e morte ha un valore infinito perché propria del Verbo.

3. Ecco la dottrina di San Tommaso relativa alla soddisfazione compiuta da Cristo: “Soddisfa pienamente per l’offesa colui che offre all’offeso ciò che questi ama in unamisura uguale o ancora maggiore di quanto abbia detestato l’offesa.
Ora Cristo, accettando lapassione per carità e per obbedienza, offrì a Dio un bene superiore a quello richiesto percompensare tutte le offese del genere umano.
Primo, per la grandezza della carità con la quale volle soffrire.
Secondo, per la dignità della sua vita, che era la vita dell’uomo-Dio, e che egli offriva come soddisfazione.
Terzo, per l’universalità delle sue sofferenze e la grandezza dei dolori accettati.
Perciò la passione di Cristo fu una soddisfazione non solo sufficiente per i peccati del genere umano, ma anche sovrabbondante, secondo le parole di S. Giovanni [1 Gv 2,2]: «Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo»” (Somma teologica III, 48, 2).

4. Ulteriormente afferma che “il capo e le membra formano come un’unica persona mistica. Perciò la soddisfazione di Cristo appartiene a tutti i suoi fedeli che ne sono le membra. Come anche quando due uomini sono uniti nella carità uno può soddisfare per l’altro” (Somma teologica III, 48, 2, ad 1).

5. Capito come mai si possa soddisfare l’uno per l’altro, rimane ancora da comprendere perché sia necessaria la nostra soddisfazione dal momento che quella di Cristo è stata sufficiente, sovrabbondante e infinita.
La risposta la troviamo nell’affermazione di san Paolo: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
Certo la passione di Cristo è stata piena e perfetta. I suoi meriti sono infiniti. Gesù stesso ha affermato di aver compiuto l’opera affidatagli dal Padre Gv 17,4) e che tutto era compiuto (Gv 19,30).
Con le sue parole S. Paolo non vuole affatto dire che la passione di Cristo sia stata imperfetta e incompleta e che ad essa si debbano aggiungere i meriti e i patimenti dei santi, ma considera Gesù e la Chiesa come un solo corpo, del quale Gesù Cristo è il capo e i singoli fedeli le membra.
Afferma pertanto semplicemente che manca ancora a Gesù Cristo di soffrire non già nel suo corpo fisico e reale, ma nelle sue membra mistiche.
Dio infatti ha stabilito che i fedeli debbano assimilarsi al loro capo Gesù Cristo e patire con lui, portando dietro di lui la croce.
Ora, poiché Dio ha pure determinato non solo quanto Gesù doveva soffrire nel suo corpo reale e anche quanto doveva soffrire nel suo corpo mistico, si potrà sempre dire che manca ancora qualche cosa alla passione di Cristo, tanto più che la Scrittura stessa attribuisce a Gesù Cristo i patimenti e le sofferenze della Chiesa e di ciascuno dei suoi membri. Infatti Cristo stesso, apparendo ad Anania dice di Paolo: “Và, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15-16).

6. Ecco dunque la spiegazione più comune che viene data nella Chiesa cattolica, soprattutto ad opera di san Tommaso d’Aquino e che ci deve impegnare a fare quanto è stato stabilito da Dio perché possiamo cooperare per la salvezza del nostro prossimo.

Ti ringrazio per il tuo interessamento alla mia salute. Ti posso dire che grazie a Dio non ho mai avuto problemi in questo senso.
Ti ricordo volentieri, soprattutto nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo