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Quesito
Caro Padre Angelo,
c’è chi afferma nella Chiesa l’esistenza di un "diritto di critica". Quando il papa non è infallibile, si dice, può essere criticato in pubblico. Ma è davvero così?
Non c’è differenza tra disobbedire a una disposizione del papa (in casi di coscienza, come afferma Newman, dunque per quel che attiene un giudizio pratico) e la contestazione pubblica del pontefice, magari su giornali e riviste elettroniche? A me appaiono fattispecie del tutto differenti.
Seguendo quanto scrive il Beato John Henry Newman nella "Lettera al duca di Norfolk", il rapporto tra il fedele cattolico e il papa è analogo a quello che intercorre tra un medico e un paziente. Vale a dire che è un rapporto caratterizzato da una forte componente fiduciaria. Per cui se dopo attenta riflessione e consultazione si può disattendere un comando del papa non è fuorviante però impostare la questione in termini di “diritto”? Così facendo non si “sindacalizza” il rapporto, trasformandolo in un braccio di ferro intessuto di rivendicazioni? Un’involuzione protestataria che difatti subentra di regola quando si attiva la forma mentis “critica”, come attesta il proliferare di pubblicazioni, soprattutto elettroniche (siti, blog, profili facebook) dove i rilievi al Santo Padre sono tutt’altro che episodici e si tramutano in dissenso, cioè in contestazione aperta e prolungata. Ma questo polemismo a oltranza non distrugge appunto la fiducia nel papa? Non sfocia nella delegittimazione del Vicario di Cristo?
Se «credere nella Chiesa significa credere nel Papa», come scrive sempre il Beato Newman, come si può credere nel Papa quando ogni suo atto e ogni sua parola sono continuamente e pubblicamente contestati in nome di un «diritto di critica»? Si può dire che esista un simile diritto nella Chiesa oppure è solo un’invenzione? E se sì, quali sono le responsabilità morali di coloro che – soprattutto si tratta di intellettuali, giornalisti, professori, uomini di cultura – alimentano questo clima torbido?
La ringrazio e la seguo con affetto.
Alex
Risposta del sacerdote
Caro Alex,
1. provo vivo disagio nel rispondere alla tua mail, perché non vorrei alimentare neanche di un’unghia quello che tu chiami “clima torbido”.
Viviamo in un’epoca in cui a motivo dei mezzi di comunicazione sociale il Papa è esposto, anzi, sovraesposto in continuazione in ogni suo movimento.
Tutti commentano.
Ma fin qui non vi sarebbe nulla di male, perché non dev’essere considerato un reato esprimere la propria opinione, soprattutto se non tocca gli elementi essenziali della nostra fede.
2. Ma si va fuori dello spirito evangelico quando nei commenti si alimenta disaffezione perché allora si sgretola quel bene sul quale si edifica tutta la Chiesa: la carità.
Al di sopra di tutto e come fine di tutto vi deve essere sempre la carità che consiste nell’amarsi a vicenda col cuore di Dio.
È per mezzo della carità che Dio abita in noi e noi in Dio come dice San Giovanni: “Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio e Dio in lui” (1 Gv 4,16).
È in base alla carità che saremo giudicati al termine dei nostri giorni, come ha sintetizzato molto bene San Giovanni della croce (Parole di luce e di amore, 1, 57) ed è la carità la realtà che attira su di noi le benedizioni divine: “Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! (…). Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre” (Sal 133,1.3).
3. Questa premessa era necessaria per dire che ogni cosa, comprese le critiche, per rimanere nell’alveo evangelico devono essere fatte conservando la carità.
Diversamente costituiscono un peccato, che talvolta può essere anche mortale.
4. Quali i criteri da tenere presente perché le critiche possano essere non solo giuste, ma anche meritorie se sono animate dalla carità?
Mi pare che un buon criterio sia quello lasciatoci dal grande Agostino quando si espresse nei seguenti termini: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.
5. Tradotto in italiano: nelle cose necessarie e nelle quali non è lecita la libertà d’opinione ci vuole l’unità. Queste sono le verità riguardanti la fede (de fide) e la morale (de moribus).
Su questo punto sappiamo che Gesù ha garantito di preservare Pietro dall’andare fuori strada.
6. In dubiis, nelle cose dubbie e a maggior ragione nelle cose opinabili, ognuno è libero di pensare come vuole.
Su questo terreno è legittimo avere un pensiero diverso.
Il problema qui è il seguente: se sia opportuno fare di queste critiche oggetto di pubblica polemica.
Io penso di no, perché è molto facile perdere o far perdere la carità e creare disaffezione nei confronti di colui che sta al posto di Cristo nel pascere le pecore.
7. Ecco che cosa dice San Tommaso: “La mormorazione e la maldicenza coincidono nella materia, e anche nella forma, cioè nell’espressione verbale: poiché l’una e l’altra consistono nel dir male del prossimo a sua insaputa. E per questa somiglianza talora si scambiano l’una con l’altra. Per cui quando l’Ecclesiastico (Sir 5,14) dice: "Non ti meritare il titolo di mormoratore", la Glossa aggiunge: "Cioè di maldicente". Esse però differiscono nel fine. Poiché il maldicente mira a denigrare la fama del prossimo: e quindi insiste specialmente nel presentare quei difetti che possono infamare una persona, o almeno sminuirne la fama.
Invece il mormoratore mira a distruggere l’amicizia, come risulta dalla Glossa citata (nell’argomento in contrario) e da quel passo dei Proverbi (26,20): "Se non c’è il mormoratore, il litigio si calma". Perciò il mormoratore insiste nel presentare quei difetti che possono eccitare contro una persona l’animo di chi ascolta, secondo le parole della Scrittura (Sir 28,9): "Un uomo peccatore semina discordia tra gli amici e tra persone pacifiche insinua l’inimicizia" (Somma teologica, II-II, 74,2).
8. In omnibus caritas: in ogni cosa, o anche in ogni caso, ci deve essere sempre la carità.
Come si è detto, se le critiche non favoriscono la carità, si è fuori dello spirito evangelico.
9. E al Papa è lecito muovere critiche? E muoverle pubblicamente?
Scrive San Tommaso: “Quando vi fosse un pericolo per la fede, i sudditi sarebbero tenuti a rimproverare i loro superiori anche pubblicamente. Perciò S. Paolo, che pure era suddito di Pietro, per il pericolo di scandalo nella fede, lo rimproverò pubblicamente. S. Agostino commenta: “Pietro stesso diede l’esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capita di allontanarsi dalla giusta via” (Somma teologica, II-II, 33, 4 ad 2).
10. Ma San Tommaso dice anche che “si tocca colpevolmente il superiore quando lo si rimprovera senza rispetto, oppure quando si sparla di lui” (Ib., ad 1).
Ora questo è quanto capita di leggere non di rado nelle critiche al Papa.
In molte di esse manca la serenità d’animo, il rispetto, la carità.
11. Cristo ha reagito nei confronti del servo del Sommo Sacerdote che gli aveva dato uno schiaffo gli ha detto senza animosità e senza ferocia, ma con pacatezza e fermezza: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23).
Così dovrebbero essere le discussioni tra i cristiani, in modo che i non credenti o gli appartenenti ad altre religioni possano ripetere lo stupore riferito da Tertulliano: “Guardate come si amano!” (Apologeticum 39,7).
Ti esorto pertanto a tenerti lontano anche solo dal riferire le critiche mordaci fatte al Papa per conservarti in grazia di Dio e per attirare costantemente su te e su molti le sue benedizioni.
Perché ti possa mantenere in una grazia così bella ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo