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dalle «Lettere Apostoliche» di Giovanni Paolo II, papa
(3 ottobre 1982, AAS 75, 1983, pp.796-799)
Proposta di seconda lettura per l’ufficio delle letture del proprio dell’Ordine dei Frati Predicatori.
«Chi fa le cose di Cristo, con Cristo deve stare sempre». Questo è il motto che amava ripetere fra Giovanni da Fiesole, insignito dell’epiteto di «Beato Angelico» per la perfetta integrità di vita e per la bellezza quasi divina delle immagini dipinte, e in grado superlativo quelle della Beata Vergine Maria.
Di sentimenti orientati alla vita religiosa, ancora giovinetto domandò di essere accettato tra i Frati Predicatori che, per il tenore rigoroso di conodotta, erano chiamati Osservanti, e che domoravano a Fiesole nel convento di San DOmenico. Mentre compiva con con massima diligenza le mansioni che i Frati e i Superiori gli avevano affidato, si dilungava a raggio largo la fama della sua egregia arte di pittore: per questo anche le opere di pennello gli venivano commesse con un ritmo frequente e incalzante.
Il papa Eugenio VI lo fece venire a Roma; e mentre fra Giovanni esercitava l’arte pittorica nella basilica di San Pietro e nel Palazzo Vaticano, ebbe ampia possibilità di stimare ad altissimo non solo l’egregio artista dotato di meravigliosa capacità, ma specialmente la sua pietà, la sua osservanza della Regola, il sentire umile e dimentico di se stesso.
Anche Nicola V nutrì un’opinione eccellente di fra Giovanni: in realtà «onorò e venerò un personaggio così degno, per la sua integrità di vita e per la superiorità di modi virtuosi». Per questa ragione gli dette il compito di affrescare la sua cappella privata, che porto a termine senza venir meno alla propria arte tipica, che si può definire un’autentica preghiera espressa con i colori.
A Roma chiuse gli occhi con con la morte nel convento di Santa Maria sopra Minerva, sigillando un’esistenza lodevole per arte rinomata, e ancor più abbellita da virtù umane e religiose.
A giudizio dei contemporanei egli fu «uomo in tutto caratterizzato da modestia e condotta religiosa»; in lui «mite di indole e probo nella professione di frate, fiorirono pure molte virtù». Fu insomma «uomo di santità evidente». Del resto il Vasari, che a Firenze aveva accolto molte notizie sulla sua vita senza macchia, era convinto che quella grazia e quell’indole celestiale riflette nelle sue figure sacre – in realtà non dipinse altri soggetti – sono frutto di somma armonia tra vita santa e forza creatrice in lui attuata. Questo è fuori dubbio il solo motivo per cui ricevette il soprannome di «Angelico», uomo certamente quasi unico nell’arte e fuori confronto con altri.
È allora evidente che fra Giovanni, ponendo a servizio dell’arte i doni privileggiati della sua natura, ha procurato e tuttora procura un’immensa utilità spirituale e pastorale al popolo di Dio, facilitandolo nel cammino verso Dio. A questo fine è ordinata l’arte sacra stando al COncilio Vaticano II, nella cui Costituzione sulla Sacra Liturgia leggiamo: «Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono, con pieno diritto, annoverate le arti liberali, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con la infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all’aumento della sua lode e della gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non di contribuire nel modo più efficace, con le loro opere, a indirizzare religiosamente la mente degli uomini a Dio».
In verità fra Giovanni, uomo eccezionale per spiritualità e arte, ha sempre attirato moltissimo la nostra simpatia: riteniamo quindi che è giunto il tempo di collocarlo in luce speciale nella Chiesa di Dio, alla quale non cessa ancora offi di parlare con la sua arte celestiale.