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Quesito
Caro Padre Angelo,
anche Benedetto XVI, così come aveva fatto già Giovanni Paolo II, ha escluso che esista una qualche possibilità di aprire il sacerdozio alle donne.
Come mai la Chiesa lo proibisce ?
Grazie
Andrea
Risposta del sacerdote
Caro Andrea
1. la Chiesa esclude questa possibilità per fedeltà a Gesù Cristo, il quale, pur sapendo che nelle religioni del tempo c’erano sacerdotesse e nell’ebraismo vi fossero delle profetesse, ha conferito l’ordine sacro solo ad uomini.
La Chiesa ritiene anche Gesù, signore del tempo, non sia stato condizionato dalla mentalità del tempo, anche perché – come ho rilevato – qua e là v’erano delle sacerdotesse.
Il documento della Congregazione per la dottrina della Fede “Inter insigniores” (15.10.1976) dichiara: “La congregazione per la dottrina della fede ritiene di dover richiamare che la chiesa, per fedeltà all’esempio del suo Signore, non si considera autorizzata ad ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale”.
La motivazione è chiara: non si considera autorizzata.
Se dipendesse da Lei, potrebbe discuterne. Ma siccome questo deriva dalla volontà espressa del Signore non si considera autorizzata.
2. Vediamo ora che cosa abbia fatto Gesù.
Il documento “Inter insigniores” rileva che “Gesù Cristo non ha chiamato alcuna donna a far parte dei dodici.
Se egli ha fatto così, non è stato per conformarsi alle usanze del suo tempo, poiché l’atteggiamento, da lui assunto nei confronti delle donne, contrasta singolarmente con quello del suo ambiente e segna una rottura voluta e coraggiosa. È così che egli, con grande stupore dei suoi stessi discepoli, conversa pubblicamente con la samaritana (cf. Gv 4,27); non tiene alcun conto dello stato di impurità legale dell’emorroissa (cf. Mt 9,20-22); lascia che una peccatrice lo avvicini presso Simone, il fariseo (cf. Lc 7,37s); e, perdonando la donna adultera, si preoccupa di mostrare che non si deve essere più severi verso la colpa di una donna, che verso quella degli uomini (cf. Gv 8,11). Egli non esita a prendere le distanze rispetto alla legge di Mosè, per affermare l’eguaglianza dei diritti e dei doveri dell’uomo e della donna di fronte al vincolo del matrimonio (cf. Mc 10,2-11; Mt 19,3-9).
Nel suo ministero itinerante Gesù non si fa accompagnare soltanto dai dodici, ma anche da un gruppo di donne: “Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni ” (Lc 8,2-3).
In contrasto con la mentalità giudaica che non accordava grande valore alla testimonianza delle donne, come dimostra il diritto ebraico, sono tuttavia delle donne che hanno avuto, per prime, il privilegio di vedere il Cristo risorto, ed è ancora ad esse che Gesù affida l’incarico di recare il primo messaggio pasquale agli stessi undici (cf. Mt 28,7-10; Lc 24,9-10; Gv 20,11-18), per prepararli a divenire i testimoni ufficiali della resurrezione.
Siffatte constatazioni, è vero, non forniscono un’evidenza immediata. Ma ciò non può far meraviglia, poiché i problemi sollevati dalla parola di Dio superano l’evidenza. Per cogliere il senso ultimo della missione di Gesù, come anche quello della Scrittura, non può bastare l’esegesi puramente storica dei testi.
Si deve, però, riconoscere che vi è qui un insieme di indizi convergenti, i quali sottolineano il fatto importante che Gesù non ha affidato alle donne l’incarico dei dodici.
La sua stessa Madre, così strettamente associata al mistero del Figlio, e il cui incomparabile ruolo è sottolineato dai vangeli di Luca e di Giovanni, non è stata investita del ministero apostolico. Ciò indusse i padri a presentarla come esempio della volontà di Cristo in questo campo; e agli inizi del secolo XIII, il papa Innocenzo III confermò ancora la medesima dottrina: “Benché la beata vergine Maria superasse in dignità ed eccellenza tutti gli apostoli, tuttavia non a lei, ma a costoro il Signore affidò le chiavi del regno dei cieli””.
3. Nello stesso modo si sono comportati anche gli anche gli Apostoli
“La comunità apostolica è rimasta fedele all’atteggiamento di Gesù. Nella piccola cerchia di coloro che si riuniscono nel cenacolo dopo l’ascensione, Maria occupa un posto privilegiato (cf. At 1,14). Eppure, non è lei che viene designata per entrare nel collegio dei dodici, al momento dell’elezione che porterà alla scelta di Mattia: coloro che sono presenti sono due discepoli, dei quali i vangeli non fanno neppure menzione. Nel giorno di pentecoste lo Spirito santo discese su tutti, uomini e donne (cf. At 2,1; 1,14), e tuttavia l’annuncio dell’adempimento delle profezie in Gesù fu proclamato da “Pietro e gli undici” (At 2,14)”.
L’atteggiamento di Gesù e degli apostoli viene considerato come normativo da tutta la tradizione fino ai nostri giorni e la chiesa non può allontanarsene.
4. Giovanni Paolo II è intervenuto su questo argomento con una dichiarazione definitiva.
Egli porta ancora una volta questa motivazione: la Chiesa non è stata autorizzata a conferire l’Ordine Sacro alle donne.
Scrive: “Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla divina costituzione della chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli (cf. Lc 22,32), dichiaro che la chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della chiesa” (Ordinatio sacerdotalis, 22.5.1994).
5. Di fronte alla volontà di Cristo, espressa tacitamente ma in maniera inequivocabile, i teologi possono domandarsi perché Gesù abbia fatto così.
Il documento “Inter insigniores” ricorda che l’ordine sacro è un sacramento e pertanto un segno sacro e che questo segno, come gli altri segni sacramentali, non è puramente convenzionale.
E dice che vi è una profonda convenienza tra la natura propria del sacramento dell’ordine ed il fatto che soltanto gli uomini siano chiamati a ricevere l’ordinazione sacerdotale.
Infatti il vescovo e il presbitero, nell’esercizio del rispettivo ministero, non agiscono a nome proprio, ma rappresentano il Cristo, il quale agisce per mezzo di loro. Essi agiscono nella persona di Cristo, cioè sostenendo la parte di Cristo, al punto di essere la stessa sua immagine, allorché pronuncia le parole della consacrazione.
Ora Cristo “fu e resta un uomo”. Pertanto nell’agire in persona Christi tra il presbitero e Cristo c’è “una naturale rassomiglianza”. Soggiunge subito che questa naturale rassomiglianza non ha niente a che fare con una presunta superiorità naturale dell’uomo sulla donna, ma vuole mostrare una realtà nascosta: Cristo sposo dell’umanità.
Il prete maschio è simbolo naturale di Cristo sposo. La chiesa è la sua sposa, che egli ama poiché se l’è acquistata col suo sangue e l’ha resa gloriosa, santa ed immacolata, e dalla quale è ormai inseparabile.
Vedere il prete maschio dovrebbe essere per tutti un richiamo a vivere il mistero nuziale tra Dio e ciascun uomo, tra Cristo e la sua Chiesa.
Mi auguro che queste affermazioni e motivazioni ti abbiano reso più chiare le idee e perché né Giovanni Paolo II, né Benedetto XVI, né qualsiasi altro Papa possa discostarsi da questa norma.
Ti ringrazio per il quesito, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo