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Quesito
Grazie Padre Angelo,
le domando qualcosa sul valore del digiuno che Gesù ha praticato e che viene richiamato a Medjugorje.
E’ per espiare i peccati? (I Peccati non vengono perdonati con la confessione? Le pene non vengono rimesse con le indulgenze?)
E’ per patire il nostro limite della carne e ricordarci di che siamo fatti?
E’ per partecipare della grazia altrui? (Come l’indemoniato di cui sopra?)
Come si vive il digiuno per essere gradito a Dio?
Non vorrei digiunare quando lo sposo è con me.
Magari domani mi arriva una situazione particolarmente sgradita nella mia vita e so che lì stando ai piedi della croce vivrò il mio digiuno più importante.
Scusi le domande, ma questi sono temi che dopo il Concilio mi sembra si vivano poco o niente come le penitenze corporali.
Sembra siano destinati a pochi strani nostalgici di forme arcaiche e ormai inutili.
Che il Signore la benedica
Luca
Risposta del sacerdote
Caro Luca,
1. i nostri peccati non vengono espiati dai nostri digiuni e neanche dalle nostre penitenze, ma dalla passione e dalla morte di Cristo.
I nostri digiuni e le nostre penitenze non aggiungono nulla al sacrificio di Cristo che ha un merito infinito.
Sono però necessari perché gli effetti del sacrificio di Cristo possano essere applicati a noi.
Non basta che nella dispensa ci sia tutto ciò che è necessario per non morire di fame. Si richiede anche che noi prendiamo di lì quanto ci è necessario.
2. Nell’enciclica Mediator Dei Pio XII scrive: “Mentre moriva sulla Croce, Cristo donò alla Sua Chiesa, senza nessuna cooperazione di essa, l’immenso tesoro della Redenzione; quando invece si tratta di distribuire tale tesoro, Egli non solo comunica con la Sua Sposa incontaminata l’opera dell’altrui santificazione, ma vuole che tale santificazione scaturisca in qualche modo anche dall’azione di lei” (EE 6, 193).
Pertanto la necessità dei digiuni e delle penitenze non si trova nella linea della causa efficiente dell’espiazione dei peccati.
Questi sono stati espiati tutti una volta per sempre da Cristo.
La necessità dei digiuni e delle penitenze si richiede invece da parte del soggetto perché possa applicare a sé i tesori della Redenzione.
Un esempio: perché la macchina corra non basta che ci sia il serbatoio pieno di benzina, ma è necessario anche che si pigi l’acceleratore.
E più lo si pigia, più la macchina corre.
Allora nella misura in cui è maggiore la nostra partecipazione alla passione e morte del Signore, più profonda è anche la purificazione e la santificazione che riceviamo nelle nostre anime.
È in questo senso che San Paolo scrive: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
3. Pertanto che cosa manca ai patimenti di Cristo?
Oggettivamente niente. È stata abbondante, anzi sovrabbondante.
San Tommaso nell’Adoro Te devote dice che una sola goccia del Sangue di Cristo sarebbe stata sufficiente per liberare tutto il mondo dai peccati.
Soggettivamente, invece, e cioè da parte nostra è necessario che noi apriamo la porta.
E quanto più la apriamo, tanto maggiormente facciamo scorrere in noi e nella Chiesa i tesori della redenzione.
Per questo Pio XII dice ancora: “Mistero certamente tremendo, né mai sufficientemente meditato: che cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle volontarie mortificazioni, a questo scopo intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo, e dalla cooperazione dei Pastori e dei fedeli, specialmente dei padri e delle madri di famiglia, in collaborazione col divin Salvatore” (EE 6, 193).
4. Perché in particolare con i digiuni e le penitenze?
Perché amare significa donare.
E quando noi ci priviamo di qualche cosa per donarlo agli altri compiamo un vero atto di amore, doniamo del bene.
Non è il dolore o il sacrificio in quanto tale ad avere una capacità redentrice. Perché anche il cattivo ladrone ha sofferto e ha sofferto molto, ma la sua sofferenza non è giovata né alla sua salvezza né a quella di altri.
Il dolore e la sofferenza sono salvifici quando vengono animati dall’amore e vengono trasformati in amore.
Allora la carità con la sua intrinseca e soprannaturale forza congiuntiva diventa capace di attirare a Cristo.
In questo senso Giovanni Paolo II ha detto: “La sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore”…
Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (Salvifici Doloris 30).
Pertanto per rispondere ad una tua precisa domanda “Come si vive il digiuno per essere gradito a Dio” la risposta è chiara: deve essere comandato dall’amore e impregnato di amore.
5. Inoltre i digiuni e le penitenze ci aiutano anche ad essere più corazzati contro le tentazioni dei demoni e del mondo.
Come ricorda San Paolo: “La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,12).
E servono anche per tenere a freno le nostre cattive inclinazioni. Per questo ancora San Paolo dice: “Tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato” (1 Cor 9,27).
Tutto questo evidentemente per essere maggiormente capaci di amare, e cioè di donare.
6. In tale ottica va anche vista la penitenza sacramentale imposta dal sacerdote nell’atto della confessione dei nostri peccati.
Di essa Giovanni Paolo II dice:
“Non è certo il prezzo che si paga per il peccato assolto e per il perdono acquistato; nessun prezzo umano può equivalere a ciò che si è ottenuto, frutto del preziosissimo sangue di Cristo. Le opere della soddisfazione – che, pur conservando un carattere di semplicità e umiltà, dovrebbero essere rese più espressive di tutto ciò che significano – vogliono dire alcune cose preziose:
1- esse sono il segno dell’impegno personale che il cristiano ha assunto con Dio, nel sacramento, di cominciare un’esistenza nuova (e perciò non dovrebbero ridursi soltanto ad alcune formule da recitare, ma consistere in opere di culto, di carità, di misericordia, di riparazione);
2- includono l’idea che il peccatore perdonato è capace di unire la sua propria mortificazione fisica e spirituale, ricercata o almeno accettata, alla passione di Gesù che gli ha ottenuto il perdono;
3- ricordano anche che dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. Tale è il significato dell’umile, ma sincera soddisfazione” (RP 31,III).
7. Ecco dunque vari motivi per cui Paolo VI all’inizio della Costituzione Apostolica Paenitemini ha scritto: “«Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15): queste parole del Signore Ci sembra di dover ripetere oggi, nel momento in cui, chiuso il Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa con passo più vigoroso continua il suo cammino.
Tra i gravi ed urgenti problemi, infatti, che si pongono alla Nostra sollecitudine pastorale, non ultimo Ci sembra essere quello di richiamare ai Nostri figli – e a tutti gli uomini religiosi del nostro tempo – il significato e l’importanza del precetto divino della penitenza” (n.1).
Ti ringrazio di avermi dato l’occasione di toccare un tema così importante e prezioso per la nostra vita cristiana.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo